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Luigi Manconi racconta il suo anno all’ufficio antirazzismo
«Non mi aspettavo, certo, riconoscimenti da un governo che evidentemente mi considera un avversario politico, ma voglio ricordare che quando sono arrivato all’Unar, la situazione era davvero drammatica. In 12 mesi siamo riusciti a porre obiettivi e a far ritrovare il piacere del lavoro a persone che, due anni fa, avevano dovuto superare i picchetti di Forza Nuova e di cattofascisti che li insultavano imputando a Unar di aver svolto una insidiosa campagna pro-gay. Il primo obiettivo è stato quello di restituire all’ufficio la sua dignità e penso che ci siamo riusciti». Luigi Manconi, sociologo e già presidente della commissione Diritti umani del Senato, dal 22 marzo 2018 era alla guida dell’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, presso il dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio. A nominarlo l’allora premier Paolo Gentiloni.
Professore, come si è conclusa questa esperienza? E come è stato il congedo?
«La legge non consente il rinnovo dell’incarico, ma forse un po’ di galateo nelle relazioni istituzionali andrebbe salvaguardato. Il mio mandato si è concluso sabato 23 marzo, ho chiuso la porta e, diciamo così, chi s’è visto s’è visto. E questo al termine di un’intera settimana dedicata alla mobilitazione contro le discriminazioni di natura etnico-razziale. Moltissime le iniziative importanti, in coincidenza con la Giornata internazionale contro il razzismo, promossa dall’Onu, e la diffusione di uno spot, per una volta non retorico né paternalista, su un tema tanto delicato. A queste manifestazioni non ha preso parte un solo rappresentante del governo. Nemmeno il sottosegretario alle Pari opportunità, Vincenzo Spadafora, titolare del dipartimento in cui è inserito l’Unar».
Il governo è stato assente in questo anno?
«È stato indifferente o insofferente. Tra le molte iniziative realizzate, solo ad una — la ricorrenza della Dichiarazione universale dei diritti umani con Giovanni Maria Flick e Liliana Segre — ha preso parte la vicepresidente della Camera, Maria Edera Spadoni. Spadafora è venuto in visita un anno fa per pochi minuti e poi più nulla. Ha avuto un ruolo importante nella istituzione del tavolo delle associazioni Lgbt, ma per quanto riguarda il resto, a esser sincero, non pervenuto».
E dire che l’Unar si occupa di temi importanti.
«Ed è, secondo la legge, "punto di contatto" per l’applicazione della strategia di inclusione di rom, sinti e caminanti e su questo abbiamo molto lavorato, in particolare per ricostruire la memoria di minoranze da sempre perseguitate. E che hanno avuto 500.000 morti nei lager nazisti e nei campi di detenzione italiani. Il riconoscimento della storia di quelle vittime è la premessa essenziale per consentire ai sopravvissuti e ai loro familiari, di sentirsi parte della società».
Essendo un organo del governo, se il governo non lo sostiene...
«Esatto. Temo che si rischi davvero di andare verso l’azzeramento dell’Unar o, comunque, verso un suo indebolimento, come chiedono la destra e i suoi organi di stampa. In pochi mesi, sono stati pubblicati da alcuni quotidiani filo-governativi diversi articoli contro l’Unar e contro di me. Figuriamoci se me ne lamento, ma non sono segnali incoraggianti. Sarebbe un vero peccato se l’Unar dovesse scomparire: qui ho incontrato tante persone competenti e che lavorano sodo».
Secondo lei, quale dovrebbe essere il futuro dell’Unar?
«Da tempo, la Commissione europea chiede che sia un organismo autonomo dal governo, richiesta imprescindibile, che è anche mia da sempre, ma non vorrei fosse presa a pretesto per mettere in mora e liquidare progressivamente i compiti dell’uffico. Che restano comunque preziosi. Anzi, se posso buttarla in politica, sempre più preziosi».
Ora si dovrà nominare il suo successore.
«Mi auguro che chi mi sostituirà sia capace e indipendente e, in tempi di sbandierata morigeratezza, che non costi troppo più di me, che ho lavorato per un anno a titolo totalmente gratuito».