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 2019  marzo 27 Mercoledì calendario

Intervista a Fiorella Mannoia

Tanto personale da toccare temi universali. Il nuovo disco di Fiorella Mannoia si chiama «Personale» ma non è un diario intimo, una raccolta di riflessioni su se stessa. Anzi. «Il titolo ha una doppia chiave di lettura. È la mia personale visione del mondo attraverso le canzoni. Ma richiama anche la personale intesa come mostra, visto che nel libretto ho abbinato una mia fotografia a ogni brano». 
È anche fotografa? 
«Un anno e mezzo fa mi sono comprata una macchina ed è scattata una passione. Avevo anche un profilo Instagram sotto falso nome, @malagueta che ora è @fiorella_photo. La fotografia mi ha cambiato la percezione della realtà. Prima camminavo per le strade distratta, adesso sono come un cacciatore». 
Un collega da ritrarre? 
«Mi piacerebbe Ligabue, un viso bello da fotografare». 
Il primo singolo, «Il peso del coraggio», invita ad impegnarsi, a non rimanere zitti se muore un bambino... 
«È un pugno allo stomaco. È la canzone che ci vuole oggi. L’ha scritta Amara dopo una lunga telefonata in cui ci siamo confrontate sul fatto che oggi ognuno deve fare la sua parte. Bisogna mettere in circolo amore, tutt’altro che una parola buonista. Faremo la rivoluzione con una carezza, come dice una canzone che Barbarossa ha scritto per me. Noi artisti dobbiamo fare da contraltare a quello che succede». 
E cui dire basta come dice «Resistenza»? 
«È il mio modo per combattere questo brutto clima. È il linguaggio, non i temi trattati, a essere pericoloso. Un conto è chiedere la partecipazione dell’Europa perché non possiamo sopportare da soli l’ondata dei migranti, un altro dire “la pacchia è finita”. Non si stuzzica il sentimento di chi non sta bene. Lo spostamento delle masse non si può fermare. È la vita che li spinge e l’istinto di sopravvivenza è più forte del mitra o dell’aiutiamoli a casa loro». 
Cantautori storici e nuova leva sembrano lontani dall’idea di essere il contraltare di cui lei parla. Perché? 
«Io mi sono sempre esposta, non ce la faccio a tenere la bocca chiusa. Sono una cittadina prima di essere una cantante. In America gli artisti si schierano, da noi se accade è uno scandalo». 
In «Riparare» canta di essersi sbagliata a sperare che sarebbero arrivati anni migliori. Pentita dell’appoggio dato ai 5 Stelle? 
«Li ho difesi quando si proponevano e venivano attaccati ingiustamente. Non sono pentita dell’essermi esposta. Non ci può essere pentimento se c’era una speranza. Però non posso dirmi contenta, sono arrabbiata. Come sono andate le cose è sotto gli occhi di tutti». 
«Carillon» ci mostra donne vittime di violenza che alla fine riaprono la porta... 
«Non è una canzone consolatoria, è un attacco alla donna. Cosa ci spinge a non andare via? Alle ragazze di oggi dico che devono sentirsi esseri umani come gli uomini e non devono mai sottomettersi, a partire dall’ambiente domestico. Non pensavo che nel terzo millennio dovessimo difendere ancora i nostri diritti. A sentire quelli del congresso della famiglia di Verona mi sembra di essere tornata al medioevo. Dall’altra parte sono scesa in piazza l’8 marzo e ho visto molti uomini alla manifestazione». 
Il disco si chiude con «Creature», un brano sui drammi della Napoli violenta in cui lei fa solo un piccolo intervento. 
«La canzone è di Antonio Carluccio, un esordiente che ho voluto ospitare. Non potevo cantarla da sola perché è in dialetto e perché non racconta una realtà che vivo. Così ho deciso di lasciare a lui questo spazio. In genere si chiamano i giovani ad aprire i concerti, io ho deciso di offrire uno spazio all’interno di un disco».