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 2019  marzo 27 Mercoledì calendario

Vito Crimi: così si favoriscono i colossi di internet. Il governo prenda tempo

Vito Crimi, senatore, è nato a Palermo.
ROMA Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’editoria. Il Movimento 5 Stelle, di cui lei fa parte, dice che la direttiva sul copyright approvata a Bruxelles mette in pericolo la libertà d’espressione. Perché?
«Perché mette nero su bianco, trasformandolo in legge, quello che già oggi è lo strapotere di Google e degli altri over the top».
Be’, Google e gli altri dovranno pagare i diritti di autore nel caso in cui decidano di pubblicare contenuti prodotti da altre persone.
«È proprio questo il problema. Decideranno di pubblicare solo alcuni contenuti, quelli per i quali vale la pena pagare. Tutti gli altri saranno tagliati fuori, ed è un errore molto grave. A pagare le conseguenze di questa scelta saranno i piccoli editori: non incasseranno nulla in più come diritti d’autore e non avranno nemmeno il vantaggio della visibilità indotta dai motori di ricerca e dai social media».
Senta sottosegretario, ma non crede sia giusto che chi produce contenuti venga pagato?
«Certo, chi produce informazioni in modo professionale va remunerato. Ma il tema andava affrontato con tutti gli attori del settore, compreso Google. Bisogna sedersi a un tavolo e far capire loro che non possono continuare a fruire di tutto quello che viene prodotto senza fare la loro parte...».
Cioè senza pagare.
«Senza fare la loro parte».
Cosa intende con fare la loro parte?
«La partecipazione di Google può essere declinata in tanti modi diversi. Si parla solo di remunerazione in termini economici del singolo contenuto. Ma quanto valgono i dati che ha Google sull’accesso alle notizie da parte degli utenti?».
Mi passi la metafora, ma sta dicendo che secondo lei Google potrebbe pagare non in soldi ma, diciamo, in natura?
Gli stati generali
Per il recepimento della direttiva credo sia utile aspettare le indicazioni che arriveranno dagli Stati Generali dell’editoria
«La dice in modo un po’ brutale ma il senso è quello. Un eventuale obbligo di condivisione dei dati consentirebbe all’editore di migliorare il proprio prodotto. Non sarebbe una remunerazione in senso stretto ma per gli editori un vantaggio ci sarebbe. E, soprattutto, non ci sarebbero distinzioni tra piccoli e grandi gruppi. Naturalmente è solo uno degli esempi possibili di remunerazione alternativa».
E quali sono gli altri?
«Su questo terreno non mi muovo in modo isolato. C’è una competenza condivisa con il ministero dei Beni culturali, e quindi bisognerà ascoltare anche loro. Oltre che gli editori e Google, naturalmente, come faremo nel corso degli Stati generali dell’editoria che abbiamo appena inaugurato e che andranno avanti con tavoli tematici nelle prossime settimane».
Sottosegretario, quella approvata dall’Unione europea è una direttiva. Il testo non è direttamente applicabile negli Stati membri ma va recepito per legge. Google dice che molto dipenderà da quest’ultimo passaggio. Secondo lei il governo si deve muovere subito?
«Direi che non c’è nessuna fretta e che possiamo tranquillamente aspettare l’autunno».
Perché così tanto?
«Perché per il recepimento credo sia utile aspettare le indicazioni che arriveranno proprio dagli stati generali dell’editoria. Servono dei correttivi, per rimediare a quegli errori contenuti nel testo appena approvato, che metterebbero all’angolo i piccoli editori».
Scusi sottosegretario, ma se i piccoli editori vi stanno così a cuore perché avete tagliato i fondi a loro riservati?
«Sono due cose completamente diverse. Il taglio è un intervento non lineare che prevede uno zoccolo fisso da 500 mila euro che non viene toccato per tre anni. Al di sopra di quella soglia c’è un taglio progressivo».
D’accordo, ma è possibile un ripensamento?
La remunerazione
Chi produce informazioni va remunerato. Ma il tema andava affrontato con tutti gli attori, compreso Google
«No, il modello della contribuzione diretta non ha funzionato. Adesso facciamo in modo che dalla direttiva europea non arrivi il danno vero».