Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 27 Mercoledì calendario

Salvini punta a evitare Berlusconi

Il calcolo gira in via riservata ai piani alti della Lega. Ed è arrivato anche all’orecchio di Silvio Berlusconi, allarmandolo. È il piano B di Matteo Salvini. Il teorema dell’autosufficienza prende corpo in numeri e tabelle, nel caso in cui i cinquestelle non reggessero all’eventuale tracollo delle Europee e non accettassero i diktat del segretario leghista su grandi opere, autonomie regionali, Flat tax e Tav, trascinando il Paese al voto. La proiezione racconta che se saranno confermati i sondaggi che li proiettano oltre il 30, fino al 34 per cento, la Lega conquisterebbe la gran parte dei collegi uninominali alla Camera: fino a 187 su 232 totali. Numeri che, sommati a quelli dei deputati eletti al proporzionale, regalerebbero una maggioranza autonoma agli uomini di Salvini. Il tutto – e sta qui la vera svolta – senza Forza Italia. In particolare, gli uomini del Carroccio riuscirebbero a ottenere tra i 164 e i 187 seggi uninominali e tra 135 e 145 deputati nel proporzionale. In totale, tra i 299 e i 332 a Montecitorio, dove la soglia di maggioranza è fissata a 316. È un piano azzardato. Legge elettorale alla mano, perché vada a segno l’operazione leghista occorre che quel 34-35 per cento sia spalmato sul territorio nazionale con un buon grado di omogeneità. «Il radicamento del Pd nelle regioni rosse – avverte il dem Stefano Ceccanti – potrebbe far saltare i loro piani». Per intendersi, è lo stesso handicap che ha frenato il M5S alle politiche 2018, quando l’exploit al Sud è stato stemperato dalla forza del centrodestra al Nord. L’intero disegno, va da sé, è condizionato dallo scenario che si aprirà all’indomani del 26 maggio. Matteo Salvini, anche dopo il successo in Basilicata, non esclude più nulla. Tranne la responsabilità di una crisi del governo gialloverde e il ritorno alla corte di Arcore. Certo, il cemento del potere lo tiene legato a Luigi Di Maio. Ma nel caso di un capovolgimento dei rapporti di forza, alle Europee, allora si prepara a rivendicare la sua leadership nella coalizione e a dettare le condizioni. Lasciando che siano semmai Conte e Di Maio a trascinare il Paese al voto dopo l’estate. È proprio sulle eventuali macerie del Palazzo gialloverde che il segretario della Lega accarezza il sogno della fuga solitaria. Gli serve il 35 per cento per avvicinarsi al numeretto magico di 316. Obiettivo che sarà alla portata soprattutto se si assisterà a quel travaso di consensi dal M5S a un rivitalizzato centrosinistra già fotografato dalle ultime elezioni regionali. Ogni azzardo è lecito, per Salvini, pur di pensionare una volta per tutte l’anziano Cavaliere, che secondo gli stessi calcoli dovrebbe accontentarsi di una quarantina di seggi alla Camera, tutti nel proporzionale. «Ma io ci penserei due volte, al posto loro, prima di fare i conti senza l’oste», mette in guardia su un divanetto del Transatlantico il forzista Giorgio Mulé. Se poi Salvini dovesse perdere la scommessa dell’autosufficienza, allora Berlusconi farebbe pagare a caro prezzo il sostegno post voto. «Ma io piuttosto ripropongo l’alleanza con Di Maio», va ripetendo in queste ore ai suoi il vicepremier leghista. Il pallino è nelle sue mani. «Potremmo anche aspettare qualche mese e andare all’incasso dopo le regionali d’autunno in Emilia- Romagna», fa notare un ministro leghista. L’unico spettro per Salvini è perdere l’attimo propizio e fare «la fine di Renzi», come spesso gli ricorda Giancarlo Giorgetti. Ancora pochi giorni fa il sottosegretario gli ricordava quando nel 2014 conduceva la trattativa sulla nuova legge elettorale e gli proponevano la norma salva-Lega: «Non serve, dissi, con questo che è appena diventato segretario arriveremo presto al 10 per cento». Perché la politica corre veloce, come sulle montagne russe. Dopo una rapida salita, c’è sempre una discesa.