27 marzo 2019
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Biografia di Luca Zaia
Luca Zaia, nato a Conegliano (Treviso) il 27 marzo 1968 (51 anni). Politico (Lega). Presidente della Regione Veneto (dal 13 aprile 2010). Già ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali (2008-2010), vicepresidente della Regione Veneto (2005-2008), presidente della Provincia di Treviso (1998-2005). «Io non sono malato di politica: sono malato di amministrazione» • «Siamo trevigiani da 15 generazioni. Prima del ’500, non so. Forse, l’origine è dalmata» (a Giancarlo Perna) • «Io non sono figlio di contadini: lo erano i miei nonni. […] Io ho sempre vissuto per i campi, avevo un rapporto viscerale con la terra e con l’erba. Ed ero fissato col tagliare alberi e piantare chiodi» (a Barbara Romano). «La mamma di Luca aveva dieci fratelli, cui si aggiunsero, morta una zia, sei cugini. Imponente anche la famiglia del padre, figlio di un emigrante che fece qualche fortuna oltreoceano e che, tornato a Conegliano, mise su la casa dov’è nato Luca. “Avevamo un tavolo di otto metri – ha raccontato – in cui si mangiava tutti insieme con zii e nonni”. […] L’infanzia coneglianese di Zaia è stata serena. Il babbo aveva un’avviata officina meccanica, ma il ragazzo amava la terra e gli animali. Con l’idea di fare Veterinaria, Luca si diplomò in Enologia all’istituto Cerletti, rinomato per la specialità. In “Produzione animale”, cui era spinto dall’amore per i cavalli, si laureò a Udine dopo avere cominciato a Parma. Per mantenersi, aprì diciottenne la sua prima partita Iva. È stato cameriere, uomo delle pulizie, muratore, maestro cavallerizzo, animatore della discoteca Manhattan di Godega» (Perna). «“Tutto iniziò con la festa di diploma all’enologico di Conegliano. Me ne occupai io, e riuscì benissimo”. Fu così che il diciottenne Luca Zaia […] scoprì di avere notevoli doti di comunicazione. “Mi misi a organizzare feste, anche con due o tremila persone. Così le discoteche mi offrirono di lavorare per loro. Divenni pr, quando le pubbliche relazioni erano agli inizi in Italia”. […] Zaia studiava Veterinaria e reclutava giovani per il Manhattan di Godega di Sant’Urbano, il suo paese nel trevigiano, ma anche per il Diamantik di Gaiarine, il Kolossal di Spresiano o il Desirée a Caorle. “Eravamo in quattro, tutti universitari. Uno è diventato un grosso imprenditore, un altro un fiorista, il terzo un arredatore”. Per dodici anni Zaia ha battuto la provincia con la sua Citroën 2 cavalli e un’idea vincente. “Gli inviti! Adesso possono sembrare normali, ma allora fecero scalpore. Presi ispirazione dai volantini pubblicitari dei mercati rionali, quelli con i saldi. Non c’erano telefonini, né social network: i ragazzi, dovevi andarteli a prendere uno per uno”. Un’attività redditizia. “Si lavorava solo nel fine settimana: due-tre giorni, e guadagnavi quanto un impiegato. Mica male, e poi conoscevi tutti. Ancora oggi c’è sempre qualcuno che si avvicina e mi dice: ti ricordi di me?”» (Riccardo Bruno). «Come è diventato leghista? “Gian Paolo Gobbo, uno dei leader storici della Liga Veneta, era un fornitore di attrezzi e faceva proselitismo tra i meccanici. L’ho conosciuto nell’officina di mio padre. Dopodiché, alla fine degli anni ’80 dalle mie parti non si poteva non essere leghisti e un po’ incazzati”. Perché, scusi? “Ricordo un giorno una fila eterna sotto la pioggia alla motorizzazione per la revisione delle macchine. I meccanici trattati malissimo da questi funzionari statali svogliati, arroganti e maleducati. Pensai: ‘Scene così non si devono vedere più’. Poi c’era la questione della lingua”. Volevate che si insegnasse il dialetto nelle scuole? “Volevamo che i professori non ci trattassero come analfabeti perché parlavamo veneto. Credo che questo non sia molto chiaro nel resto del Paese: in Veneto si parla veneto”. Mica tutti. “Sette su dieci”. […] “I veraci vicini alla Lega all’inizio erano insignificanti. Poi l’onda cominciò a crescere”. Quando si rese conto della forza della Lega? “Una manifestazione a Codogné, nel 1990. Protestavamo contro una ‘soggiornata’, una donna di mafia ai soggiorni obbligati. Arrivò Bossi”. Lei rimase folgorato? “È un animale politico. Uno che ascolta le istanze del popolo. La gente dà l’input, lui cerca e trova la soluzione”. Quando lo ha conosciuto meglio? “Gli ho stretto la mano a Pontida, nel 1993. A tavola insieme però ci sono stato la prima volta per la mia candidatura alle Provinciali”» (Vittorio Zincone). «A 29 anni eri presidente della Provincia di Treviso. “L’istituzione Provincia va rafforzata, non è inutile. Io, per esempio, ho fatto un mucchio di cose”. Tra cui l’assunzione di sei asini bruca-erba al posto dei falciatori per pulire le strade. “A Treviso c’è una scarpata di tre chilometri. Falciarla costava 80 mila euro l’anno. Ho pensato di acquistare asini. Costo cinquemila euro, più diecimila per il pastore”. Risparmio secco. “Con effetto emulazione. Oggi, anche i privati usano asini per le loro strade”. […] Le strade sono il tuo assillo anche per gli incidenti. Come ammonizione, hai messo i rottami delle auto sulle rotonde. Sadismo? “Treviso aveva il record degli incidenti: 197 morti l’anno. Dagli sfasciacarrozze ho preso i resti delle utilitarie, le più usate dai giovani, e li ho piazzati sulle rotonde. Ho fatto poi uno spot con una ragazza mutilata della gamba. Slogan: ‘A volte si rimane vivi’. Sottinteso: ma ecco come. Ha fruttato: oggi i morti sono 60-80 l’anno”. Poi, ti sei fatto beccare a 183 all’ora. Patente ritirata per un mese. “Ho fatto un errore. Settimane di prime pagine. Un polemicone da schifo. Ho fatto mea culpa iscrivendomi all’autoscuola per prendere la patente C, perché la B ce l’ho già. Di più non potevo. Vorrai mica che vada a Lourdes?”» (Perna). «Benvoluto da Bossi e discosto dagli intrighi leghisti, a 37 anni (2005) divenne vicepresidente della Regione, di cui era governatore il Fi Giancarlo Galan. Un giorno che il capo dello Stato, Ciampi, venne in visita, gli sussurrò all’orecchio: “Si ricordi che il Nord ne ha le palle piene”. […] Gli capitò anche di passare davanti a un’auto in fiamme con il conducente albanese che […] rischiava di saltare in aria. Zaia lo tirò fuori e l’altro gli disse: “Sono un immigrato, nessuno si fermava” Questo gesto, spontaneo e normale in una persona dabbene, gli procurò fama di leghista non razzista. […] Col quarto governo Berlusconi, nel 2008, Zaia diventò a quarant’anni ministro dell’Agricoltura e accese la fantasia dei giornalisti. Il suo primo atto fu abolire la tradizionale livrea dei commessi ministeriali con le code che strusciavano per terra. “Quell’abito era simbolo di servaggio”, spiegò Luca. Poi fece togliere dallo studio le foto dei suoi predecessori al dicastero. “Molti sono già morti – disse –. L’agricoltura ha bisogno di futuro. Metterò le foto dei giovani che si occupano di produzioni di punta”. Con queste curiose iniziative e un dinamismo contagioso, le richieste di interviste fioccarono. “Zaia si vende come un fustino di Dash”, gongolava l’addetto stampa. […] Restò al ministero due anni, facendo buone cose. Batté i pugni a Bruxelles e sistemò al meglio l’annosa questione delle quote latte. Poi, profittando delle Amministrative 2010, si fece eleggere governatore. Lasciò Roma e corse felice nella Serenessima Venezia» (Perna). «Il ritorno a Venezia, nel 2010, fu un indubbio segno di forza. Innanzitutto nel centrodestra, dove Bossi, che era ancora Bossi, convinse Berlusconi a far schiodare Galan da Palazzo Balbi, per incarichi ministeriali. Ma anche in casa leghista, dove Tosi si sentiva già un predestinato per la poltrona di Doge, che gli venne sfilata sotto il naso. Che l’uomo ci sappia fare è indubbio, vista la rielezione a mani basse nel 2015 e l’indice di gradimento sempre altissimo quale presidente della Regione» (Giuseppe Pietrobelli). Tra le principali battaglie del suo secondo mandato da governatore, quella per l’autonomia del Veneto, nel nome della quale sostenne con forza il referendum consultivo del 22 ottobre 2017, contribuendo al successo del «sì» (98,1%, a fronte di un’affluenza pari al 57,2% degli aventi diritto). «È un plebiscito, il trionfo che voleva. Sul referendum per l’autonomia c’è il suo nome, ne ha fatto una battaglia di identità di popolo e i veneti hanno risposto. “È il Big Bang delle istituzioni, è come il Muro di Berlino. E mi piace pensare che a farlo cadere sia stata la mia gente. Apriamo una stagione che diventerà endemica: questa partita non finirà qua”, afferma. […] Il consenso è arrivato, il quorum che pareva un ostacolo si è rivelato una spinta in più. Zaia un po’ lo temeva, tanto che negli ultimi mesi ha macinato migliaia di chilometri in una campagna a tappeto. Era la sua scommessa, l’ha vinta. […] Per l’autonomia è salito sulle barricate. “Siamo cinque milioni di abitanti, abbiamo 600 mila imprese e un fatturato di 150 miliardi – ricorda Zaia –. Io credo che Roma dovrebbe portarci rispetto. Chiederemo tutte le 23 materie, i nove decimi delle tasse e il federalismo fiscale”. Per il presidente sono arrivate troupe di Al Jazeera, della tv russa e di Barcellona. Venezia è una Catalogna in scala minore, che riesce anche a portare a casa il risultato. […] E adesso “andiamo a trattare”, si tira su le maniche il governatore. La vittoria è soprattutto sua. Al secondo mandato in Veneto, la poltrona di presidente è più solida che mai» (Claudia Guasco). Indicato da più parti come possibile candidato del centrodestra alla presidenza del Consiglio in vista delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 in quanto più gradito di Salvini a Berlusconi, negò ogni sua ambizione nazionale ribadendo la propria lealtà al segretario leghista («Questa leggenda della mia candidatura mi sta soltanto danneggiando. Comincio a essere guardato non come un interlocutore attuale, ma come un antagonista futuro. Cosa che, ripeto, non avverrà»). In seguito alla formazione del governo Conte, non ha comunque risparmiato critiche all’esecutivo di cui la Lega è parte fondamentale, soprattutto in merito all’introduzione del reddito di cittadinanza, ai temporeggiamenti dei grillini rispetto alle richieste venete di autonomia e di ammodernamento infrastrutturale e all’esiguità dei fondi destinati alla regione dopo le alluvioni dell’ottobre 2018. «Ci ha messo due foto, una di Alleghe prima della frana e l’altra di adesso, ha fatto un tweet e anche un post su Facebook: “In dieci giorni centinaia di persone si sono rimboccate le maniche per ridare la normalità ai cittadini. Questo è il Veneto!”. C’è chi parla tanto e chi non perde tempo, chi aspetta il reddito di cittadinanza e chi lavora. Bisogna leggerlo fra le righe, Luca Zaia. […] Nei giorni dell’emergenza aveva già parlato chiaro: “Paghiamo molte tasse, ci aspettiamo una risposta”. E, quando Salvini ha annunciato i milioni di euro che il governo voleva stanziare per il Veneto, ha commentato placido: […] “Il segnale è importante, ma se le cifre sono queste io le considero soltanto un acconto”. […] La Confindustria del Veneto era già stata la più dura contro il decreto dignità: “È stato scritto da uno che non ha mai lavorato in vita sua”. Poi aveva dovuto intervenire lui direttamente, perché i segnali erano diventati sempre più allarmanti. Dichiarazioni sparse, ma ben indirizzate. Uno, a Salvini: “Ci auguriamo che il governo realizzi il contratto Lega-Movimento cinque stelle, ma il nostro contratto con gli elettori vale di più”. Due, a Toninelli: “Dire che dietro ogni cantiere c’è un ladro è propaganda”. Tre, a Di Maio e Toninelli: “Nazionalizzare le autostrade? Non mi convince per nulla. Sarebbe un bagno di sangue per la collettività”. Quattro, ai cinquestelle: “Pedemontana? Io non la fermo. Se qualcuno se ne assumesse la responsabilità, il Veneto sarebbe parte lesa”. […] Per ora, nonostante i mal di pancia della Confindustria veneta e tutte quelle dichiarazioni No Tav del governo contro le grandi opere, lui è saldamente fedele alla ditta e al suo leader, incollato alla sua camicia verde e agli ideali della prima Lega di Bossi, perché da lì lui viene, anche se è quasi un altro partito oggi a vederlo da qui, dalla terra di Venezia, dell’assalto al campanile, della secessione gridata ai quattro venti, della Lega di centrodestra di Silvio e Umberto. E lui lì vorrebbe tornare, a un governo di quella identità, come questo del Veneto. Solo che non si può, “e io non remerò mai contro”, ha assicurato Zaia» (Pierangelo Sapegno). È pertanto sembrato significativo che, il 20 ottobre 2018, al Forum Ambrosetti di Cernobbio, Matteo Salvini abbia dichiarato il suo «desiderio che l’Italia potesse nominare il commissario europeo all’Agricoltura». «Un indizio sibillino, che però s’è rivelato fin troppo esplicito per molti dei vertici del Carroccio: “Parlava di Luca, certo”. Luca, cioè Luca Zaia: il presidente del Veneto che forse più di ogni altro, in questi anni, s’è ritagliato il ruolo di leghista di governo, pragmatico e rassicurante, a modo suo, anche quando la linea politica del suo partito era improntata all’azzardo. E dunque è a lui che Salvini sta pensando come prossimo rappresentante italiano alla Commissione europea che nascerà in ossequio ai nuovi, probabilmente inediti equilibri che verranno determinati dalle elezioni continentali del maggio 2019. […] Insomma, Salvini potrebbe riuscire con Zaia laddove Renzi ha fallito con D’Alema: eleggerlo commissario europeo. […] Cosa vorrà fare da grande il cinquantenne Zaia? Lui, nel dubbio, nel maggio scorso ha ottenuto che il suo consiglio regionale rimuovesse il divieto per il terzo mandato consecutivo alla guida del Veneto: un modo per garantirsi, comunque, una possibile riconferma. “Ma è probabile che voglia fare un salto”, dice chi lo conosce bene. Ministro del governo grilloleghista, nell’ambito di un possibile rimpasto di governo dopo le europee? Improbabile, se non altro perché Salvini eviterebbe volentieri un comprimario così di peso nell’esecutivo. E però potrà comunque essere nel ricomporsi degli equilibri della maggioranza gialloverde che Zaia ottenga la promozione. Se il Carroccio supererà il M5s nel voto di maggio, Salvini rivendicherà per sé la scelta del commissario italiano a Bruxelles: “E Luca sarebbe pronto”, dicono nel Carroccio. D’altronde, la nuova commissione si insedierà alla fine del 2019, e in Veneto le elezioni sono previste nella primavera del 2020: anche le coincidenze temporali giocano a favore di Zaia» (Valerio Valentini) • Sposato dal 1999 con la segretaria d’azienda Raffaella Monti, conosciuta a vent’anni in discoteca; senza figli. «Mia moglie Raffaella ed io siamo una coppia riservata. L’unica mondanità che ci permettiamo è l’inaugurazione del Festival del Cinema di Venezia» • «Sono cattolico, ma non bigotto» • Favorevole alla fecondazione eterologa. «"Lo dico da cattolico e da persona che ha avuto una formazione cristiana. Queste non sono norme per la morte, ma per la vita". […] "Da governatore del Veneto ho esordito portando il limite per accedere alla fecondazione assistita a cinquant’anni, mentre le linee guida ne prevedono 43. È giusto che una donna che, magari per colpa di una chemioterapia, ha perso la fertilità possa riuscire lo stesso ad avere figli". Ha detto che, se fosse per lei, lo concederebbe anche ai single. "Sono convinto che anche le coppie di fatto possano accedere alla fecondazione eterologa. Non quelle dello stesso sesso, ma le coppie non sposate. Non ci vedo nulla di strano. Siamo il Paese dell’ufficio complicazione degli affari semplici". Cioè? "Le mamme che hanno avuto un bambino fuori dal matrimonio non sono scomunicate e quel bambino viene battezzato e assume i sacramenti. Mentre ai divorziati non si concede la possibilità di fare la comunione"» (Andrea Montanari) • Grande passione per l’equitazione. «Lei ha un cavallo. “Veramente ne ho due. Il più anziano, che ha quasi trent’anni [nel 2016 – ndr], è il mio compagno di avventure in collina. A volte stiamo via un giorno intero, altre volte gli cammino accanto per rispetto alla sua età. Il secondo è un cavallo coreografico, con una criniera di un metro, molto addestrato. Per cavalcarlo bisogna avere anni di sella sul sedere”» (Stefania Rossini) • «Zaia detto "Er Pomata". “È un’invenzione della Tribuna di Treviso”. La verità è che lei è l’ultimo dei romantici: l’unico uomo d’Italia a usare ancora la brillantina. “Non è brillantina: molte volte è acqua e basta. La mattina faccio la doccia, pettino i capelli e restano ‘impaccati’”. È un look studiato apposta per rimorchiare le ragazze. “Macché! Io ho un problema di contenimento dei capelli ricci. Se vuole vedere Zaia in versione Jimi Hendrix, basta che io non metta il gel”» (Romano) • «Per parlare di lui l’attore Marco Paolini, nel suo spettacolo Bisogna, pochi giorni prima del suo primo consiglio regionale a Palazzo Balbi, ha evocato ironicamente la figura di Zorro: perché è alto, atletico, va a cavallo e si presenta come un supereroe che cambierà il mondo» (Cristina Giudici). «Per me il vestito è come una divisa. Indosso lo stesso abito nelle istituzioni e nelle stalle. E, se è aderente, vuol dire che sono in forma e non devo nascondere la pancia» • Grande ammirazione per la figura dell’imperatore romano Adriano (76-138). «Mi piace come l’ha raccontato Marguerite Yourcenar in Memorie di Adriano, un libro magnifico che consiglio a tutti di leggere, ma dopo i trent’anni. È come per i cavalli: se ne monti uno di classe e non sei alla sua altezza, reagisce male e ti butta giù» • «Le colture del suo paese per lui non hanno segreti. “Non c’è solo il radicchio rosso di Treviso, come molti credono, ma anche quello di Castelfranco, di Chioggia, di Verona… così come l’asparago bianco di Cima d’Olmo, che cresce sulle rive del Piave, è diverso da quello di Badoere, che cresce sulle rive del Sile, a sua volta diverso da quello di Bassano…”. Stesso discorso per i vini: “Tutti si fermano a prosecco e amarone. Ma il Veneto è il primo produttore italiano. Abbiamo 25 vini Doc, 10 Igt, 3 Docg, sette milioni e mezzo di ettolitri, 77 mila ettari di vigne, 71 mila produttori…”» (Aldo Cazzullo) • «Leghista cosiddetto “tradizionale” (varianti: “doroteo”, “furbo”, “moderato”, “pragmatico”)» (Marianna Rizzini). «Zaia è un curioso fenomeno di comunicatore, di ambizioso testimonial di leghismo buono, perbene, non urlante, locale, ma non ostile al confronto con i globalisti, sostenitore dei dazi, fermamente antimercatista (nella definizione di Giulio Tremonti, cioè contraria al dominio del liberismo nella versione propagandata dagli ex comunisti), ma anche convinto che Bruxelles vada sconfitta a Bruxelles con la partecipazione degli italiani al gioco di potere della capitale politico-burocratica europea: per esempio, ha indovinato la fruttuosa alleanza con la Francia sui temi agricoli. Zaia è soprattutto l’interprete di un aggiornamento della visione culturale iper-territoriale della Lega Nord, alla ricerca di un equilibrio tra i postumi della metalmezzadria, le esigenze degli allevatori e degli imprenditori caseari, i farmers’ market e anche lo slow food. […] Agricoltura e territorio sono state la chiave della sua carriera politica» (Marco Ferrante) [Rif 1/4/2010]. «“Luca è un leghista furbo”, ha detto di lui Flavio Tosi. […] Può dire di conoscere molto bene il suo ex amico-nemico che gli soffiò sul filo di lana la candidatura a governatore del Veneto. E quel connubio leghista-furbo è un binomio che può avere diverse declinazioni, tutte perfettamente aderenti al personaggio: leghista-moderato, leghista-accorto, leghista-di-governo. […] Il trevigiano Luca Zaia […] è un leghista a basso potenziale. Rassicurante. Ecumenico anche quando dice “prima i veneti”. Capace di apparire non razzista anche quando fa approvare leggi regionali che creano corsie preferenziali negli asili o nell’assegnazione di case popolari per chi vive da più di dieci anni in regione» (Pietrobelli). «Luca Zaia, questo contadino in giacca e cravatta dai modi sempre garbati, […] è l’esatto opposto di Matteo Salvini e delle sue felpe, il leader metropolitano che ha fatto della competizione muscolare il segreto del suo successo, e che anche adesso che è costretto a portare la cravatta per doveri di rappresentanza appena può la slaccia e spara bordate. Salvini, quando parla, eccita i suoi, li trascina. Zaia è un comunicatore, un ambizioso e raffinato testimonial del leghismo buono, non urlante. Quando Salvini cantava “senti che puzza, arrivano i napoletani”, Luca Zaia salvava la vita di un albanese da un’auto in fiamme e diceva ai giornalisti che aveva fatto solo il suo dovere. E ancora poco tempo fa ha postato una foto di lui abbracciato a un ragazzo di colore, e, quando qualcuno ha cominciato ad attaccarlo per questo, ha scritto chiaro e duro: “Il Veneto che amministro ha 517 mila immigrati, gente perbene. Siamo la terza regione in Italia per numero di immigrati. Chi viene qui con un progetto di vita e sposa i nostri valori è il benvenuto. Per gli altri, tolleranza zero. Spero di essere stato chiaro”. E poi: “I distinguo si fanno tra le persone perbene e i delinquenti. Nessun distinguo per il colore della pelle”» (Sapegno). «Zaia fa politica con la stessa tecnica e la stessa tenacia con cui faceva il pierre della discoteca Manhattan: dare del tu a tutti, parlare con tutti, parlare di tutto» (Cazzullo) • «A casa dei miei genitori, […] quando, all’ora dei pasti, passava il marocchino che vendeva i tappeti, veniva fatto entrare e mangiava con noi. Accadeva la stessa cosa in tante case venete. Che nessuno venga a darci lezioni di solidarietà. Da noi una persona su cinque fa volontariato». «“Da presidente della Provincia di Treviso proposi agli extracomunitari dei mutui a tassi super-agevolati per la casa. Più solidale di così… Ho organizzato corsi di formazione. Le donne si presentavano in chador. A proposito, ribadiamolo”. Che cosa? “Che il velo andrebbe vietato. Chi viene a vivere da noi si deve adeguare alle nostre regole”. È favorevole a concedere il voto amministrativo agli immigrati? “Sono favorevole a concedere la cittadinanza dopo dieci anni di permanenza e dopo un esame sulla lingua e la tradizione italiana”» (Zincone) • «“Se vado a cercare il motivo per cui mi sono messo in politica, trovo soprattutto l’avversione per le ingiustizie. Io ho un’estrazione molto popolare, ho imparato l’italiano andando a scuola, tanto che ancora oggi penso e parlo in veneto. Se mi permette l’accostamento, l’imperatore Adriano diceva “L’impero, l’ho governato in latino; ma in greco ho pensato, in greco ho vissuto”. Nelle scuole i figli degli artigiani e degli operai erano plebe, agli sportelli i cittadini venivano trattati male. La Lega ed io nasciamo da questo, e ho scelto di occuparmi di sanità perché lì si possono fare buone cose”. Però ha fatto il ministro dell’Agricoltura. “La terra, i suoi prodotti e i suoi ritmi sono la mia casa. Ancora so riconoscere una stagione dagli odori dell’erba e dei fiori. È un imprinting importante, che purtroppo i bambini di oggi non hanno. Noi bambini di allora abbiamo avuto dalla campagna anche le prime informazioni sessuali, con gli animali che si accoppiavano, le mucche che partorivano. Tutto ci è arrivato in modo naturale. Le cito ancora Adriano: ‘Il vero luogo natio è quello in cui l’uomo pone lo sguardo per la prima volta su stesso’”» (Rossini). «“Facevo l’istruttore di equitazione nell’altro millennio. Anche per questo mi è piaciuto fare il ministro dell’Agricoltura nell’ultimo governo Berlusconi. Non andavo nei convegni, io. Dicevo che un ministro dell’Agricoltura deve avere le scarpe sporche, e le avevo sporche davvero. Anche ora, che continuo a girare le aziende del Veneto”. A lei piace fare un po’ l’uomo della strada, l’uomo che ha fatto la gavetta, che sa parlare con tutti. “Ognuno ha la sua storia. Io ho fatto da studente l’operaio, il muratore, il pr in una discoteca, l’uomo delle pulizie, il cameriere. È la mia vita: né me ne vanto né me ne vergogno. Sapete che cosa mi divertiva di più? Dare ripetizioni di chimica. Sono laureato in Scienze della produzione animale, e la chimica l’ho studiata molto. Mi è sempre piaciuta da pazzi”» (Mattia Feltri).