il Fatto Quotidiano, 26 marzo 2019
La lunga saga di Duilio Poggiolini
Ci sono oggetti che diventano icone di una storia, o della Storia. Una delle icone di Mani pulite è il pouf di Duilio Poggiolini. Un morbido sedile, elegante e un poco kitsch, che faceva bella mostra di sé nel salotto della sua bella villa romana all’Eur, tra i divani e le poltrone. Non doveva essere proprio morbidissimo, perché quando la polizia giudiziaria andò a perquisirgli l’abitazione, ebbe l’idea di tagliare il tessuto del rivestimento e trovò che era imbottito di titoli di Stato: Bot e Cct per 11 miliardi e 200 milioni di lire.
Era il 1993 e il professor Poggiolini era il potentissimo e rispettato direttore centrale del ministero della Sanità. Era, soprattutto, il presidente del comitato scientifico che decideva l’inserimento dei farmaci nel prontuario nazionale. Poteva scegliere quali medicine potevano essere prescritte ai pazienti dai medici italiani e quali no, quali potevano essere rimborsate dal servizio sanitario nazionale e quali no. Lo decideva con accuratezza e le case farmaceutiche gli erano evidentemente grate, poiché nel ventennio della sua scientifica, competente ed esperta presenza al vertice del sistema di controllo del mercato delle medicine in Italia, tra il 1983 e il 1993, si stima che le mazzette pagate nel settore farmaceutico siano state di circa 7.500 miliardi di lire. Una bella fetta passarono per le sue mani e per quelle di sua moglie, Pierr Di Maria. Quando Mani pulite arrivò a scoprire la Tangentopoli farmaceutica, Poggiolini scappò. Ma dopo tre mesi di latitanza, il 20 settembre 1993 fu individuato e arrestato a Losanna, in Svizzera. I magistrati gli bloccarono 18 conti correnti a lui riferibili, per un centinaio di miliardi di lire. Nel caveau di una banca napoletana gli sequestrarono quattro casse che ricordavano i tesori dei pirati disegnati sui libri dei bambini: erano ricolme di monete d’oro, sterline, krugerrand sudafricani, Ecu, perfino monete antiche provenienti dagli scavi di Ercolano e dal medagliere del Museo archeologico di Napoli. Una quinta cassa conteneva pietre preziose, zaffiri, rubini, brillanti, una collezione di oggetti d’oro e una serie di rubli d’oro dello zar Nicola II. A parte, spuntarono dei lingotti d’oro da mezzo chilo l’uno, un centinaio. Gli trovarono anche 60 tele di gran pregio, dipinti che potrebbero formare un ben fornito museo della pittura dal Seicento a Picasso a De Chirico, del valore (a svenderle senza metterle all’asta) di almeno 5 miliardi di lire.
“Non immaginavo di essere così ricco”, commentò, dopo che la polizia giudiziaria gli aveva svuotato la casa, mentre i vicini credevano che “il professore” stesse facendo un trasloco. La moglie, Pierr Di Maria, era la sua più valida collaboratrice. Arrestata, trascorse 8 mesi nel braccio femminile del carcere di Poggioreale. Sarà poi condannata a 4 anni e le saranno confiscati 10 miliardi di lire, che si aggiunsero ai 29 miliardi confiscati al marito.
Vecchia scuola, quella del professor Poggiolini. Iscrizione alla loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli, rapida carriera che lo porta ai vertici dell’alta burocrazia statale, a fianco di Francesco De Lorenzo, per tanti anni ministro della Sanità. Oggi, a 90 anni, Poggiolini è stato assolto per l’altra storia che gli ha segnato la vita, quella del sangue infetto venduto senza troppi controlli dalle case farmaceutiche (tra le più attive quella della famiglia Marcucci, la stessa del deputato Andrea Marcucci, turborenziano del Pd).
Morirono in tanti, tantissimi si ammalarono di Aids ed epatite, ma le responsabilità penali non sono state individuate. Il “re Mida della sanità” che non sapeva neppure quanto era ricco oggi è un vecchio con seri problemi di salute. “Percepisce una modesta e decurtata pensione”, spiega Luigi Ferrante, il suo avvocato storico. “Lo difendo gratuitamente. Non saprei neppure dove inviare le parcelle”.
Lasciata la sua bella villa romana, l’ultimo domicilio noto alle cronache è una casa di riposo abusiva alla Storta, periferia nord di Roma. Qualcuno la segnalò al commissariato di Primavalle per le condizioni precarie in cui versavano i degenti. Gli agenti nell’ottobre 2015 fecero irruzione e trovarono, tra gli altri ospiti, anche Poggiolini, avvolto in un liso cappotto di cammello.