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 2019  marzo 26 Martedì calendario

Dimmi come mangi e ti dirò come parli

Dimmi quello che mangi e ti dirò chi sei, enunciava il gastronomo Anthelme Brillat-Severin nella «Fisiologia del gusto» nel 1826. Come la maggioranza degli antropologi culturali riconosce, il cibo è linguaggio. Del tutto originale, invece, la tesi che il tipo di cibo (e il modo di consumarlo) possa influire sull’articolazione del linguaggio parlato e, di conseguenza, su quello scritto. Secondo la ricerca di un team di linguisti dell’Università di Zurigo, pubblicata su «Science», alcuni suoni, per esempio le consonanti labiodentali, quali la «f» e la «v», sarebbero affiorate tardi sulle labbra dell’homo Sapiens, alla fine del Neolitico, tra 6 mila e 8 mila fa. E sarebbero la conseguenza di un cambio di dieta, provocato a sua volta da un mutamento culturale. Con lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, e con l’utilizzo di preparazioni che rendono più morbida la carne, la mascella e la mandibola si sarebbero progressivamente adattate a cibi più morbidi, quali pane, formaggi, carne tritata. «Le diete precedenti, a base di selvaggina, carne spesso dura da masticare, avevano ingenerato un tipo di morso con un allineamento dei denti delle arcate testa a testa», argomenta Damiàn Blasi, il ricercatore che ha coordinato il lavoro del dipartimento di linguistica comparativa con il laboratorio di psicolinguistica. «Bene: provate a pronunciare una “f”, partendo a denti stretti. Si fa più fatica. I cibi soffici prodotti alla fine del Neolitico hanno comportato un leggero slittamento in avanti del labbro superiore, permettendo ai nuovi suoni di farsi strada nelle nostre conversazioni».


Le consonanti labiodentali
Lo studio ha agitato le acque della linguistica. La teoria prevalente sostiene che i suoni che articoliamo siano rimasti invariati negli ultimi 300 mila anni e che le evoluzioni del linguaggio dipendano solo da fattori culturali. E qui la questione si fa controversa. Perché, se è vero che le cause individuate sono biologiche, queste sarebbero il risultato della «rivoluzione del Neolitico», con la domesticazione di semi e razze animali, la quale portò a un’esplosione demografica e a migrazioni di massa. Un gioco di sponda evolutivo, quindi: mutamento culturale, poi organico e di nuovo culturale.
«Siamo partiti da un presupposto che ritenevamo bizzarro e allo stesso tempo affascinante», concede Blasi. In realtà l’idea che la nascita delle consonanti labiodentali possano derivare da un cambiamento nella masticazione è stata formulata per la prima volta dal linguista americano Charles Hockett nell’85. Si basava in parte sulle teorie dell’antropologo Charles Loring Brace: per lui gli ominidi si sarebbero evoluti nei Sapiens attraverso cambiamenti morfologici dovuti all’uso di strumenti. Si poteva seguire lo stesso ragionamento per il linguaggio di umani ormai moderni alle soglie della storia? I due sembravano d’accordo. Poi Brace cambiò opinione e Hockett rinunciò a difendere la sua ipotesi.
Il lavoro di Blasi, all’inizio, si proponeva di ripercorrere le idee di Hockett e rilevarne gli errori. Ma l’impiego dei megadati permette incroci più sofisticati. I ricercatori svizzeri notarono delle relazioni che non erano spiegabili, senza ricorrere all’ipotesi di Hockett. Per esempio, la scarsa diffusione di labiodentali nelle lingue delle popolazioni di cacciatori e raccoglitori nel mondo contemporaneo. I loro stili di vita sono cambiati poco dalla preistoria e così il modo di articolare i suoni. Il team ha elaborato al computer modelli delle ossa e dei muscoli facciali. Con una retrusione mandibolare lo sforzo per produrre una labiodentale diminuisce del 29%.


Lo spettro del determinismo
L’esame dell’evoluzione delle lingue di ceppo indoeuropeo ha fornito altri puntelli, ma l’ipotesi di questa influenza bio-culturale lascia spazio ancora ai dubbi. Khalil Iskarous, linguista dell’Università della Southern California, obietta che gli organi predisposti al discorso non impiegano molta energia. «Se piccole differenze di sforzo dovessero fare la differenza, in nessun linguaggio odierno sarebbero sopravvissuti i clic tipici di alcune lingue dell’Africa meridionale, che di sforzo ne richiedono molto», ha detto al «National Geographic». Inoltre, con la mandibola arretrata sarebbe logico aspettarsi il declino delle bilabiali, il che non è avvenuto.
Blasi precisa che il cambio di dieta non è l’unico fattore nei cambiamenti del linguaggio. Di sicuro, comunque, lo studio apre prospettive inedite: la nuova parlata fu portata in Europa dagli agricoltori neolitici? Le neuroscienze mettono in evidenza come il nostro modo di parlare influenzi il pensiero e lo spettro di un determinismo bio-culturale-alimentare è dietro l’angolo. Il team di Zurigo se ne tiene alla larga. E progetta un nuovo progetto affascinante: riprodurre il suono delle lingue dei nostri antenati.