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 2019  marzo 26 Martedì calendario

Il Raffaello rivelato

Come spesso accade quando «l’idea ancora in nuce è più affascinante del prodotto finale», per dirla con Sartre, riscoprire alla Pinacoteca Ambrosiana la bellezza originaria della Scuola di Atene nel suo gigantesco cartone preparatorio - il più grande e importante giunto intatto dal Rinascimento, 804 centimetri per 285 - lascia stupefatti. Ci sono voluti quattro anni per restituire al tratto raffaellesco, reso da un mix di carta, carboncino e biacca, la magia iniziale, e rendere più netta persino l’assenza di personaggi e architetture che popolano l’affresco finale conservato nella Stanza della Segnatura ai Musei Vaticani: un trionfo della saggezza antica che emana dalle figure chiave di Platone e Aristotele, in una composizione ancora priva delle volte del Bramante e di un Eraclito con le sembianze di Michelangelo chino e pensoso su un blocco di marmo. 
Mancano paesaggi e figure che si ritroveranno nell’affresco finale, ma l’equilibrio compositivo e la chiarezza dei contenuti del cartone rinascimentale risplendono di nuova luce. Soprattutto, il capolavoro realizzato fra il 1509 e il 1511 interamente dalla mano di Raffaello (che sembra mossa da quella del divino) rappresenta un unicum nella storia dell’arte, e da domani fino al 31 dicembre sarà visibile al pubblico nella mostra «Il Raffaello dell’Ambrosiana. In principio il cartone»

Nuovo anche l’allestimento, curato dallo studio dell’architetto Stefano Boeri, nato con l’obiettivo di fissare - diversamente dal passato, nella stanza concepita da Luigi Caccia Dominioni - l’attenzione dello spettatore solo su quest’opera.
Il cartone della Scuola di Atene non venne utilizzato per trasportare il disegno di Raffaello sulla parete, ma per illustrare l’opera al Papa. L’obiettivo era mettere in risalto - attraverso il consesso di antichi filosofi (Platone, Aristotele, Pitagora, Socrate, Epicuro) intenti a dialogare tra loro - la capacità dell’animo umano di conoscere il vero grazie agli studi di scienza e filosofia. Diviso in «d
uoi pezzi di disegno di Raphaele d’Urbino in cartone, per Federico Borromeo»
, il capolavoro ha alle spalle una storia complicata. Il sovrano lo volle a tutti i costi per la sua Ambrosiana, fondata nel 1610, riuscendo a assicurarselo solo nel 1626 e pagandolo una fortuna alla vedova del cugino Fabio Visconti di Brebbia, perché a suo dire rappresentava la summa dell’ideale estetico che con Raffaello «aveva raggiunto e superato la bellezza dell’arte greca».
Dal 1796 al 1815, il cartone fu preda di guerra della Francia, e al Louvre fu sottoposto al primo restauro a cura del fondatore moderno di questa disciplina, Jean-Pierre Hoccreau. Tornò a casa dopo il Congresso di Vienna. Quattro anni or sono, la decisione di intervenire con un nuovo restauro: «Era un compito molto difficile, non solo dal punto di vista tecnico, ma etico», spiega il responsabile del recupero Maurizio Michelozzi, «perché in questo nuovo intervento, un atto critico e un momento privilegiato di conoscenza dell’opera, bisognava salvaguardare non solo l’opera originaria, ma anche gli effetti del restauro realizzato tra il 1797 e il 1798». Al lavoro ha contribuito il centro di Restauro della Reggia di Venaria: analisi ai raggi Uv, infrarossi, fotografie ad alta risoluzione ottenute illuminando il retro dell’opera, utili a fornire gli elementi scientifici per progettare l’intervento di restauro. «Abbiamo eseguito una interessante fotogrammetria, analisi che permette di acquisire ad altissima risoluzione l’opera», raccontano alla Reggia, «tracciando anche la morfologia della superficie, che è servita per vedere l’andamento degli oltre 200 fogli assemblati di cui il cartone è composto».
L’esposizione - che sarà accompagnata da una pubblicazione di Electa (con testi di Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca Ambrosiana) - rafforza la presenza della Pinacoteca all’interno di un circuito della Milano rinascimentale: nel raggio di pochi chilometri quadrati, ci sono anche l’Ultima cena di Leonardo e la Pietà Rondanini di Michelangelo.