La spritz-economy — ha scoperto Goldman — è in pieno boom: le vendite del liquore prodotto dalla Campari sono balzate del 28 per cento nel 2018. Il viatico del New York Times («è la bevanda dell’estate») e gli Instagram sognanti di influencer di lusso come Madonna e Halle Berry con calice arancione d’ordinanza in mano hanno fatto decollare del 70 per cento quelle negli Stati Uniti. E il bello, pare, deve ancora arrivare: un cin-cin alla volta «il giro d’affari nei bar Usa crescerà del 50-60 per cento l’anno fino al 2023»,certifica la merchant bank in uno studio di 35 pagine che viviseziona le abitudini etiliche mondiali.
Risultato: «Campari è una della più grande occasioni di crescita delle borse europee». Giudizio senza se e senza ma che ha regalato ai titoli della società milanese della famiglia Garavoglia — raddoppiata di valore in due anni a quota 10 miliardi — un balzo del 3,1 per cento, al massimo storico.
La globalizzazione dello spritz, un capolavoro di marketing tutto made in Italy, è un processo pianificato a tavolino, esploso con tutta la viralità del suo lato più "social". Campari ha acquistato Aperol nel 2003, mettendosi in portafoglio un marchio un po’ sonnacchioso dal sapore nostalgico e novecentesco e con vendite piatte, legato più che altro al fortunato slogan («Ah, Aperol!») lanciato da Tino Buazzelli a Carosello. Le cose buone però non hanno tempo. Se nei bacari di Venezia e dintorni si consumano da decenni 300mila spritz al giorno — 200 al minuto — un motivo ci sarà, hanno pensato in Campari. Pianificando quasi per gioco una prima fase di test dell’aperitivo nordestino sui mercati esteri. I risultati della prova sul campo hanno spiazzato anche i più inguaribili ottimisti.
Nel 2014 il grafico delle vendite ha iniziato a impennarsi. «C’è stata una coincidenza di fattori molto particolare — spiega Andrea Neri, direttore generale di Campari — . La gente vuole gustare bevande più "facili" e meno alcoliche (lo spritz viaggia attorno al 9,9%, ndr) ma con presentazione da grande cocktail». Non solo. Il cambiamento climatico e le caldissime estate anglosassoni hanno messo un po’ fuori gioco i liquori a base di crema come il Bailey’s favorendo quelli più leggeri e ghiacciati. E l’onda arancione è dilagata sui tavoli dei bar e nell’universo digitale di Facebook & C., trasformando lo spritz in un marchio planetario del buon vivere italiano come la Nutella, il parmigiano reggiano o la pasta Barilla. I numeri parlano da soli: Aperolspritz official ha oltre 50 milioni di follower su Instagram, il triplo di Chiara Ferragni. E sul social sono state postate oltre un milione di foto con l’hashtag dedicato all’aperitivo. L’inquadratura evocativa di un calice arancione in primo piano ha inaugurato il secondo anno di "Master of none", la serie tv di Netflix. Le ricerche di Aperol su Google sono cresciute del 50 per cento negli ultimi 12 mesi.
I concorrenti del ramo alcolici, spiazzati, stanno cercando di correre ai ripari inventando versioni apocrife dello spritz a base di vodka e di whisky. Ma sono partiti troppo tardi, dice Goldman. Un po’ in contropiede è stata presa persino la Campari che sta pianificando in queste settimane la prima campagna mondiale di pubblicità dell’Aperol. «I margini di crescita sono enormi», dice Goldman: solo il 4,9 per cento dei bar Usa ha in menu l’aperitivo italiano, contro il 26 del Bailey’s e il 69 della vodka Smirnoff. Il successo mondiale del cocktail made in Veneto sta spingendo all’insù anche le vendite del tradizionale bitter della società milanese utilizzato per la versione in rosso. Per la Campari, più che rosa, il futuro è arancione.