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 2019  marzo 26 Martedì calendario

I misteri del killer di Frankie Boy

Francesco Paolo Augusto Calì, detto Frankie Boy, ucciso il 13 marzo all’età di 53 anni a Staten Island (New York), era il boss della storica famiglia mafiosa dei Gambino. Era l’anello di congiunzione tra la malavita siciliana e quella italo-americana. 
Gli assassini leggono, uccidono, a volte si inventano tesi cospirative. Magari solo per depistare, sbeffeggiare chi osserva. L’ultimo a farlo Anthony Comello, arrestato a New York per l’omicidio di Frankie Boy Calì, presunto leader del clan Gambino. Comparso in tribunale, con grande sorpresa, il killer ha mostrato il palmo dove apparivano parole scritte con un pennarello. 
Sulla mano sinistra di Comello c’era una specie di lettera «Q», per alcuni potrebbe essere un riferimento a QAnon, teoria del complotto rilanciata da estremisti di destra dove si mescolano apparati, pedofili, servizi segreti, esponenti democratici. Un gran minestrone, dove ognuno aggiunge gli ingredienti che desidera, non c’è limite a cosa pescare. Poi, sempre sulla mano, riferimenti a slogan pro-Trump e al «patriottismo», allo stare uniti. 
Il problema è che l’assassino del boss sarebbe una persona «non proprio a posto con la testa», uno «stordito», forse con l’ossessione della mafia. Dunque ciò che ha scritto ha poco valore? In molti hanno liquidato i messaggi come fesserie, al più una tattica processuale per farsi passare per quello che non è. Altri le hanno annotate per dovere di cronaca chiedendosi se non fosse il caso di scavare su una figura ambigua. Interrogativi simili sono emersi quando il terrorista della Nuova Zelanda è stato portato per la prima volta davanti al giudice. In quell’occasione ha mostrato un segno con indice e pollice rovesciati, il simbolo di «White Power», il potere bianco. 
Durante gli interrogatori Anthony, 24 anni, operaio nella ditta edile del padre, ha fornito diverse versioni sull’agguato. Ha confermato che Calì era contrario alla relazione con una donna della famiglia, ha sostenuto che al momento del delitto era sotto gli effetti della marijuana, ha affermato di essersi portato dietro la pistola perché temeva per la sua vita. Racconti non sempre lineari, quasi a confermare il profilo instabile indicato da almeno tre agenti citati dai media. 
Secondo la ricostruzione Comello ha urtato volutamente l’auto della vittima davanti alla villa, quindi ha suonato al campanello della porta chiedendo a Calì di uscire fuori. Dopo uno scambio di battute sempre il ventenne ha consegnato al boss la targa della vettura che si era staccata a causa dell’urto. A quel punto ha sparato diverse volte sul bersaglio. L’intera sequenza è stata filmata dalle telecamere di sicurezza ed è stata decisiva, così come le impronte lasciate dallo sparatore sulla targa. E il caso da un possibile episodio di guerra di mafia è diventato una vicenda personale. Anzi un delitto di un «folle», dal passato complicato. 
Cresciuto in una famiglia benestante, Anthony – come suo fratello – si è messo spesso nei guai, con intemperanze e una vita disordinata. I vicini lo ricordano perché era pronto a spalare la neve, ma anche perché quando assumeva droghe diventava aggressivo. Sembra la storia ideale per chiudere in fretta una vicenda capace di innescare una faida tra i clan. Magari con altri cadaveri stesi lungo i marciapiedi della città di New York e dintorni. 
L’omicida ora è tenuto sotto stretta sorveglianza in quanto si teme una possibile vendetta tra le mura della prigione, magari dopo la fine del lutto. Il padrino, invece, è stato sepolto dalla famiglia con una tumulazione costosa gestita dalla Scarpaci Funeral Home. Infatti avrebbero pagato 45 mila dollari in contanti per avere una tomba adeguata nel Moravian Cemetery Mausoleum di Staten Island, non lontano da quelle di altri esponenti di Cosa Nostra, compresi Paul Castellano e Thomas Bilotti, «traforati» di proiettili davanti alla Sparks Steakhouse nell’85. 
Sulla lapide di Frankie Boy hanno inciso semplicemente «Francesco Calì 1965-2019». Attorno tre dozzine di rose bianche, l’ultimo omaggio dei «bravi ragazzi».