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 2019  marzo 26 Martedì calendario

Intervista a Christian De Sica

Il cantante. Solo quello sognava di fare da ragazzino. Poi nel 1973 fu trombato a Sanremo con Mondo mio e tutto andò come, in fondo, doveva andare. Nel bene e nel male Christian De Sica, in più di 40 anni di carriera, è diventato uno degli uomini di spettacolo più popolari e amati d’Italia. Che appena può torna a fare quello che più gli piace: cantare, appunto. Dal 30 marzo a 68 anni sarà in scena all’Auditorium di Roma con il nuovo spettacolo Christian racconta Christian De Sica, due ore e passa di musica – ad accompagnarlo c’è un’orchestra di cinquanta elementi, diretta da Marco Tiso – monologhi e storie legate alla sua vita, raccontate assieme a Pino Strabioli. Uno show che, per ora, farà il giro d’Italia fino al 30 aprile. 
A 20 anni cantava alle Feste dell’Unità e allo Sporting Club di Montecarlo: è vero o è una balla per far colore?
«Verissimo. Con il gruppetto suonavamo ovunque. E a seconda del tipo di pubblico, cambiavamo repertorio. Per me è stata la salvezza: a 23 anni, morto papà, che ci lasciò senza un soldo perché si giocò tutto a carte, mi ritrovai un mestiere. Se avessi continuato a studiare Lettere sarei morto di fame». 
Suo padre per lei voleva altro.
«Sì, il figlio intellettuale. E quando capì che avevo preso la strada del night gli prese un colpo. Poi mi vide allo Sporting e si rassegnò. Ovviamente lui era lì per giocare a carte».
Lei lo ha mai fatto?
«Sì, ma è durata poco».
È mai stato a rischio?
«No. Quando sei figlio di un giocatore compulsivo sei talmente disgustato che di vincere o perdere a carte non vuoi proprio saperne».

In carriera cosa non è riuscito a vincere, invece?
«Mi è andata bene. Anche i giovani di oggi mi seguono e i miei film incassano ancora tanto. Sono fortunato».
Tutto qui? Nessun rimpianto?
«Se potessi tornare indietro non rifarei l’ultima serie di Zelig del 2006. Anche se Gino e Michele sono fantastici, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Presentare comici senza poterlo farlo io stesso, non è la cosa che mi viene meglio».
La rinuncia più grande che ha fatto fin qui?
«Non saprei. Non ho mai trascurato la famiglia perché spendendo vagonate di soldi me la sono sempre portata dietro. So bene che il nostro è un mestiere da zingari che tende a sfasciarle». 
Il segreto?
«Coraggio, a volte incoscienza, tanta fortuna. Senza quest’ultima, visto che i figli di in Italia sono odiati, non ce l’avrei mai fatta. All’inizio gli addetti ai lavori mi massacrarono».
Come?
«Imita De Sica, e io imitavo Sordi. È uguale al padre, ed era semplice dna. È raccomandato, e papà era morto. Me l’hanno tirata. Alla fine, però...».
Cosa?
«Se non fai guadagnare soldi nessuno ti fa lavorare. Puoi essere anche il figlio del Papa. Senza incassi, crepi. Quello ha aggiustato tutto».
La parte complicata del successo qual è?
«Non c’è. Fa benissimo e gratifica in maniera pazzesca. come diceva Flaiano, è l’insuccesso che dà alla testa».
Se l’è mai montata?
«Mai. Fingo di essere sicuro, ma non è così: non mi sono mai sentito un leader, ascolto tutti, e so che nel nostro mondo la mannaia prima o poi arriverà anche per me».
Di cosa va piu fiero?
«Grasso, figlio di papà, e senza soldi, anche se tutti pensavano che fossi ricco sfondato... Ecco, avercela fatta in queste condizioni è stato bello. Pensi che il mio nome a tanta gente importante ricordava periodi da rimuovere: il produttore tanto potente aveva iniziato come autista di papà... Un gigante come Mario Monicelli aveva fatto il segretario di mia madre».

Chi l’ha aiutata?
«Carlo Vanzina. È lui che nel 1982 mi scritturò in Viulentemente mia come piccolo attore comico. Poi arrivarono Sapore di mare e Borotalco. Carlo Ponti e Dino De Laurentiis, niente. L’unico fu Peppino De Filippo che mi offrì un posto d’attor giovane nella sua compagnia».
Lo zio di sua madre, Maria Mercader, uccise a martellate Lev Trotsky: lei due colpettini, si fa per dire, ha mai pensato di darli a qualcuno?
«Nel 1976 avevo due piccolissimi ruoli in due film: Bordella di Pupi Avati e La madama di Duccio Tessari. Correvo da un set all’altro, a volte con un po’ di ritardo. Il direttore di produzione di uno dei due mi fece piangere, insultandomi in ogni modo. Fu pesantissimo. Lo ritrovai dopo Vacanze di Natale. Ero famoso, mi volevano tutti, io arrivai sul set e quello mi venne incontro: Caro Christian, benvenuto in famiglia... Come stai?».
E lei?
«Acqua. Mi porti dell’acqua»
E lui?
«Zitto. A testa bassa. Per questo i giovani attori li tratto tutti bene... Magari mi diventano Gary Cooper...». 

Lo sfizio da togliersi prima di compiere 70 anni?
«Una scuola per insegnare tutto quello che so: recitare e muoversi bene in questo ambiente, che è tostissimo. Spiegare come relazionarsi, cosa fare, cosa non dire...».
Tipo?
«Mai chiedere a un regista un primo piano. Se vuole, fa da solo».
E a De Sica cosa non bisogna fare o dire sul set?
«Io sono buonissimo».
Non ci credo.
«Non bisogna rompermi i coglioni. Detto questo, siccome mi pagano per giocare, non mi prendo troppo sul serio e vado d’accordo con tutti. Sempre».
Le piace Gomorra?
«Mai vista. Non guardo la tv, mi piace internet: lì vedo quello che voglio».
Online va a vedere quello che si dice di lei?
«No. Tanto sono solo cattiverie».
Di solito vota?
«Mai fatto in vita mia. Per anni sono stato soltanto cittadino francese e non mi è mai interessato farlo».
Davvero?
«Confesso: due anni fa ho votato. A Roma».
Per Virginia Raggi sindaco?
«Sì. E sono pentito. Il Pd era diventato troppo antipatico e sterile. Roma non l’ho mai vista così, sembra Baghdad».
Fabrizio Salini, il nuovo ad della Rai, gliel’ha proposto uno show?
«No. Andai a proporlo tempo fa, ma non lo vollero. Volevano Massimo Ranieri. Sempre Ranieri vogliono....».
Il Festival di Sanremo lo condurrebbe?
«Me lo proposero nel 2003, ma stavo girando Natale in India e dissi di no. Poi dopo un po’ fecero il bis e mi spaventai. Adesso sono prontissimo».
A Natale la vedremo in un altro cinepanettone con Boldi?
«No. Il giorno di Halloween uscirà l’horror comedy S.O.S fantasmi a Napoli con Carlo Buccirosso e Gianmarco Tognazzi».