Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 25 Lunedì calendario

Lino Banfi: «Io, ambasciatore dell’Unesco. Porto simpatia, oltre non vado»

Lino Banfi, attore, è nato ad Andria.
Lino Banfi, comico per famiglie, umorista dei nostri pomeriggi in ciabatta, è andato trasformandosi, per via della galoppante esigenza di dare un quoziente scenico al governo del cambiamento, nella cifra, nel rating politico dell’esecutivo gialloverde. Dunque la deduzione piuttosto sprezzante: comico da avanspettacolo per un governo da avanspettacolo. La scelta di Luigi Di Maio di indicare lui, pingue campione della risata post prandiale, come membro della commissione Unesco, l’organismo dell’Onu che si occupa e tutela i tesori immortali dell’umanità, dell’arte e della cultura, è stata perciò ritenuta una cartolina perfetta della identità culturale del nuovo potere.
Banfi, lei ha l’età della saggezza e la politica è anche teatro.
Lo so. Sono stato amico di Bettino Craxi, ho votato anche per lui. Un giorno mi dice: Lino, tu devi candidarti in Parlamento. Gli rispondo: io devo soltanto far ridere gli italiani! E lui, di rimando: perchè noi non li facciamo ridere?
Un comico popolare è moneta sonante per chi governa: umanizza il potere e lo rende amico.
Guardi quella parete: Cavaliere, Commendatore, Grand’Ufficiale, Cavaliere di Gran Croce. Tutti i sigilli del merito. Giorgio Napolitano mi fece una confidenza: hai avuto tutto, non posso insignirti di alcunchè purtroppo.
Le firme che decretano gli onori fanno la storia della Repubblica.
Iniziò Sandro Pertini. Gli piacque assai la deviazione pugliese di Pianto antico di Giosuè Carducci. Imbrattai quel pianto con il dialetto della mia Canosa, e quella poesia, invece che portare dolore condusse all’allegria.
Leggo anche le firme di Francesco Cossiga e Ciriaco De Mita, quelle di Scalfaro e di D’Alema.
Mi ha sorretto la popolarità e anche il senso della misura, la cornice entro la quale la mia comicità aveva vita e produceva simpatia.
È stato riverente.
Dunque: la mia famiglia ha sempre votato a destra, e anch’io sono stato elettore del Movimento sociale, ho ammirato Giorgio Almirante, prima di fare altre scelte. E ho sempre saputo che essere di centrodestra, un moderato, in un mondo dove la sinistra è stata egemone, dava una condizione di inferiorità.
Si è fatto i fatti suoi, diciamo così.
E se le dicessi che invece sono stato io a usare la politica?
Le risponderei: in che senso?
Nel senso che facendo finta di niente ho preso in giro come ho potuto e saputo. Non parlerò mai della statura di Fanfani, non mi fate dire una parola sul perchè è basso! Non dicevo e dicevo.
Tutto qua?
Anche con Aldo Moro. Si parlava tanto della destalinizzazione in Unione Sovietica. Riflettevo spesso sulla demoralizzazione in Italia.
Lei ha fatto cinema, teatro e televisione. E nella televisione ha sempre occupato la rete ammiraglia, Raiuno.
Quante volte Silvio Berlusconi mi ha offerto l’esclusiva per Canale 5. Ho sempre rifiutato. Il mio volto è associato a Raiuno, e in quel canale le mie fiction hanno fatto successo e storia. Sono divenute un brand nel brand.
Le sue fiction l’hanno portato ad essere ambasciatore dell’Unicef.
Un’esperienza formidabile. Sono stato in Angola e in Eritrea. Fui ricevuto a New York da Kofi Annan, l’allora segretario dell’Onu. E quando mi trovai nella sala, insieme agli altri ambasciatori nel mondo, vedendo i grandi del cinema, della musica, dell’arte, capii il valore, il senso, e l’onore di essere testimone di quella organizzazione.
Non ha pensato che Di Maio, infilandola nella commissione Unesco, abbia pensato di mettersi in tasca a buon mercato un po’ delle simpatie che sono solo sue?
So per certo che Di Maio si è presentato un giorno nell’orecchietteria dei miei figli portando per il mio compleanno (l’82esimo) un mazzo di fiori. Io ero là per puro caso e mi ha subito confessato di essere un cultore del mio umorismo. E quando poi ho ricevuto la nomina che è stata resa pubblica, senza che sapessi nulla, nella manifestazione dei Cinquestelle per il reddito di cittadinanza, ho messo subito le cose in chiaro. Io ho accettato, e ringrazio, di portare un alito di simpatia per l’Unesco e le sue attività. Lo faccio volentieri e sono grato davvero. Oltre questo confine non si va.
Banfi e la cultura: una faccenda complicata.
Vengo da Canosa di Puglia, sono il titolare vivente del “porca puttena!”, che è la sintesi linguistica terronizzata dell’italiano medio. Avrà diritto ad essere rappresentato?
Baudolo, Lupolo.
Lei sta descrivendo i confini lessicali del mio umorismo, l’indice analitico del costume italiano. Guardi, questa è una bella lettera di Federico Fellini, l’ho incorniciata.
“Caro Banfi, ho una calligrafia che fa venire i nervi anche a me”.
Mi spiegava perchè l’avesse scritta a macchina. Volle assolutamente leggere in anteprima il mio libro, che era un resoconto della mia vita nell’avanspettacolo. Gli mandai il manoscritto, era così coinvolto…
Far ridere costa fatica.
Proprio oggi con mia moglie eravamo nel parcheggio di un ospedale romano. Lei stava per inciampare e io l’ho sorretta. Un tizio, riconoscendomi, mi ha gridato: A Lino, ce devi far ridere!. Pesa questa cosa a volte, sa?
Ce devi far ridere, Lino
Avrei voluto fare un’ultima serie di “Nonno Libero”, ma in Rai sono stati di diverso avviso. Mi accorgo infatti che sono sempre di più quelli che mi dicono “grazie per averci fatto ridere”, traducendolo al passato. La vita è questa, buonasera.