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 2019  marzo 25 Lunedì calendario

Marco Cecchinato: «È l’amore la cura del mio rovescio»

Marco Cecchinato, tennista, è nato a Palermo.
Da un anno passeggia con i Re, ma non ha perso il contatto con la gente comune. È la vita 2.0 di Marco Cecchinato, il miglior tennista azzurro. In meno di un anno è passato dall’anonimato alla semifinale del Roland Garros 2018, persa contro Thiem: non accadeva, per un italiano, da 40 anni. Ha rivitalizzato il movimento e confermato di non essere una bollicina: oggi, a 26 anni e 4 mesi, è n. 16 del mondo e anche in questo 2019 ha già vinto il torneo di Buenos Aires. Eppure di Marco Cecchinato ancora non si sa molto. Vuole raccontarsi un po’? «Il mio percorso comincia a Palermo, dove sono nato: sono un ragazzo del Sud». La si immagina giocoso scugnizzo, dalla Vucciria a Mondello. «Niente di più sbagliato: non sono cresciuto per strada, come si dice dalle nostre parti, ma ho praticamente trascorso la mia adolescenza tra i vialetti del circolo Tennis Palermo 2, sin da quando avevo sette anni». Era già nel destino, allora. «E chi lo sa? C’era questo gruppetto di ragazzini, quanti pomeriggi passati, quante sfide a tennis, calcio, basket. E i nascondini, il nostro giocare a guardie e ladri all’aria aperta. I miei genitori erano tranquilli, era un posto senza pericoli». Un pizzico di nostalgia? «Momenti felici. E quando torno a Palermo, siamo in contatto: siamo ancora quelli di una volta». Anche se lei oggi è quello famoso. «Alcuni di loro mi prendono in giro. Certo, prima era una vita da Challenger, ora è da Slam». Riavvolgiamo il nastro: cosa accadde al ragazzino felice? «Quel ragazzino diventava bravino con la racchetta e così, 10 anni dopo, un mio cugino ebbe l’intuizione che mi cambiò la vita». Suo cugino Francesco. «Esatto. Contattò Massimo Sartori e, da un giorno all’altro, le mie giornate furono stravolte». In che senso? «Massimo Sartori, il coach di Seppi, allenava a Caldaro, provincia di Bolzano». Dal mare alla montagna, da un giorno all’altro. «Dal costume al pile. Senza colpo ferire a 17 anni». E come sopravvisse? «Grazie al mio sogno, che mi ha tenuto in vita. Il mio sogno da bambino, che consisteva nel voler entrare nei primi 100 del mondo. Mi sentico come uno stagista. Massimo mi diceva sempre ‘sei in prova’: primo mese, secondo mese. Poi disse che avevo passato il test, che dovevo studiare Andreas, seguire il suo esempio come modello». La sua vita quotidiana lì? «Mi lavavo tutto io, fino ai calzini. E cucinavo anche, sebbene fossi uno del Sud che quando tornava a casa trovava il piatto pronto di mammà, il letto fatto e la maglietta stirata. Uno svezzamento. Due anni belli, ma certo i primi mesi furono difficili. Ricordo tutto come fosse ieri». Però la montagna le ha irrobustito il carattere. «Mi ha disciplinato, e Seppi per me è stato davvero un esempio. Nonostante fossimo lontani come persone. Io ero timido, per me era un idolo. Oggi Andreas è quello con cui sono più in confidenza». Poi saluta anche Caldaro. «Sì, perché Sartori apre l’accademia a Bordighera. Dove incontro Umberto Ferrara e poi Simone Vagnozzi, da tre anni il mio coach». E il quadro si completa. «Anche se all’inizio, con Vagnozzi, quanti scontri: lo ammetto, non è facile allenarmi. In realtà il mio mentore è Umberto, che non è solo il mio preparatore da sette anni. Con lui parlo di vita, non solo di tennis. Una figura importante». Ecco, accennava al fatto di non essere un tipo morbido, per così dire. «Confermo: ho un carattere forte, arrogante, un rompi. Nel senso buono, però, perché a me piace sorridere e scherzare. Però è questo carattere forte che poi mi ha fatto arrivare dove sono. Perché nel tennis sei da solo, e hai bisogno di un minimo di arroganza». La durezza del tennis… «Il campo e la sua legge terribile: puoi avere i migliori psicologi e coach, ma sei solo in campo e devi trovare soluzioni in pochi secondi. Se poi sono migliorato definitivamente lo devo a un’altra persona ancora: la mia compagna». Gaia, più nota come Peki. Quindi la cura dell’amore funziona davvero. «Beh, è lei che mi ha fatto diventare uomo. È lei che chiamo a tutte le ore, è lei che ha fatto svoltare un ragazzo di 25 anni a uomo, grazie a lei è scattato anche il clic tennistico». E il pubblico ha potuto ammirare il suo gioco antico pieno di smorzate, rovesci a una mano e strategia. «Il mio gioco è diverso, forse per questo faccio divertire il pubblico: si è visto al Roland Garros, e in generale nei tornei. E questo mi piace, così cerco di prendermi il pubblico, come l’anno scorso con Djokovic a Parigi. Ma funziona anche al contrario: ad esempio, a Buenos Aires la finale era contro Schwartzman, argentino. Avere tutti contro mi ha caricato, è stato bello: ero io da solo contro tutti. Mi ha motivato. Ma per farlo bisogna essere tosti, e non avere dubbi su sè stessi». E così, pian pianino,è diventato il migliore italiano. «Io numero uno d’Italia... lo dissi al Foro Italico un anno fa che era l’obiettivo, ma non avrei mai creduto di vederlo realizzare così velocemente. Comunque Fognini rimane un esempio, con tutto quello che ha fatto. Intanto mi godo il momento». Beh, nei libri di storia ormai ci è entrato: vuole essere ricordato anche per qualcos’altro? «Sono l’ultimo italiano a essere arrivato in semifinale Slam, l’ultimo ad aver battuto Djokovic negli Slam. Non male, ma spero di fare ancora tanto, sono nel mio momento migliore». A proposito di Slam, dopo Miami inizia la stagione della terra rossa, con finale a Parigi… «E io, in questo inverno, per ripetermi, ho lavorato e migliorato il servizio e il dritto, i miei punti forti, ma anche il rovescio che non è più il bancomat per gli altri. Sì, la terra rossa mi aspetta, sono cosciente che già da Montecarlo dovrò dare il meglio». Ormai è conosciuto. Famoso. Le è stato difficile gestire questa nuova fase? «Onestamente mi è sempre piaciuto diventare famoso, gestisco bene la notorietà e il rischio di onnipotenza non ce l’ho. Ho persone che mi fanno ragionare sempre, mi tengono con i piedi per terra, ascoltano i miei sfoghi e le mie gioie. Nel tennis devi essere presuntuoso e umile nello stesso tempo». Dica la verità, sotto quella corazza c’è un uomo sensibile. «Sono tanto terrone, e dunque sì, sono sensibile come solo noi possiamo esserlo perché ho dei sogni ma, fortunatamente, anche la tempra del carattere giusto per emergere in questo mondo difficile. Sono un terrone che ricorda le sue origini, e che per diventare professionista ha fatto il Giro d’Italia. E ora punta al Tour di tutto il mondo».