La Stampa, 25 marzo 2019
Con Howard Carter alla scoperta di Tutankhamon
Da anni, testardo, scavava nella Valle dei Re, al di là del Nilo, a Luxor. Howard Carter, archeologo inglese (una sorta di Indiana Jones con la cravatta), in quel lontano 1922 sapeva di giocarsi le ultime cartucce per ritrovare la tomba di Tutankhamon, il misterioso «faraone bambino» nato verso il 1345 a. C. e vissuto non oltre i 19 anni: Lord Carnavon, il benefattore che finanziava le spedizioni, non ci credeva più a quel sogno. Ma il 4 novembre Carter individuò sotto la sabbia uno scalino intagliato nella roccia. Era l’inizio di una scala che portava all’agognato tumulo. Qualche giorno dopo penetrò nella camera funeraria al lume di una candela: «Quando i miei occhi si abituarono alla luce», sono le sue parole, «i dettagli della stanza emersero lentamente dalla penombra, strani animali e statue: ovunque lo scintillio dell’oro».
La mostra «Tutankhamon, il tesoro del faraone», appena inaugurata a Parigi (resterà aperta fino al 15 settembre), vuole ricreare proprio la magia della scoperta di Carter, accompagnando il visitatore progressivamente fino al cuore della tomba. Sono esposti 150 oggetti, 60 dei quali non hanno mai lasciato in precedenza il Museo Egizio del Cairo. Dopo una prima tappa a Los Angeles, l’esposizione è al debutto in Europa. Continuerà dopo la tournée in altre città (ma non in Italia), fino al 2022, quando questa «sintesi» del tesoro della tomba di Tutankhamon ritornerà a casa. Per la precisione, nella nuova sede del museo, in fase di costruzione vicino alle piramidi di Giza, in parte finanziata proprio con i proventi di questa mostra.
Scenografia teatrale
A Parigi, nella Grande Halle della Villette, la scenografia è particolarmente teatrale, con il buio che piomba dall’alto e fa risaltare l’oro degli oggetti. Presente all’inaugurazione, Tarek El Awady, egittologo di fama e ex direttore del Museo Egizio del Cairo, è il curatore dell’esposizione. E ha voluto consigliare ai lettori della Stampa i suoi quattro oggetti preferiti. Innanzitutto, un vaso di alabastro, con inserti di maiolica colorata. «È una pietra difficile da lavorare», osserva, «soprattutto per ottenere oggetti così grossi. Nell’antico Egitto trapanavano l’alabastro per ricavare prima l’interno. E, quando avevano successo e la pietra non si sgretolava, procedevano con l’esterno». La luce che filtra attraverso l’alabastro è lieve «e di quella i faraoni avevano bisogno nell’oscurità dell’oltretomba».
Carter ritrovò anche una «cassaforte viaggiante» di legno con decorazioni di ebano, avorio e oro, e quattro sostegni per trasportarla. «Il faraone moriva», spiega l’egittologo, «ma per lui era solo l’inizio di un viaggio verso la resurrezione. La cassaforte rappresentava un baule da viaggio». Dentro c’erano scatole semicircolari, anche queste esposte alla Villette, con gioielli e un paio di guanti di lino ricamati di seta. Più in là, una raffigurazione del giovane faraone appare in una statua d’oro che sovrasta una pantera verniciata di nero, «perché l’unico animale che poteva vedere nel buio pesto e guidarlo era la pantera nera», identificata nell’antico Egitto in una divinità, Mafdet.
«I misteri non finiscono mai»
Ma in realtà i primi oggetti che Carter individuò, subito all’entrata della camera funeraria, furono due grosse statue gemelle, con le sembianze di Tutankhamon. Sono i «guardiani». E uno è esposto a Parigi, con quella pelle nera, che ricorda il limo del Nilo, simbolo di fertilità. «In qualsiasi posto ci si metta dinanzi al guardiano», osserva El Awady, «lui non ti fissa mai. Guarda sempre oltre, all’eternità. È uno degli aspetti magici di quest’oggetto».
Da sottolineare: nella capitale francese non è visibile la maschera d’oro massiccio ritrovata nella tomba, che la legge egiziana proibisce ora di portare fuori dai confini nazionali. Era venuta invece a Parigi in una memorabile mostra organizzata nel 1967. E ovviamente non c’è neppure la mummia, che non ha mai lasciato la tomba, nella Valle dei Re. E che è stata sottoposta addirittura a diverse Tac. «Oggi, grazie alle nuove tecnologie, sappiamo molto più di Tutankhamon», conclude l’egittologo. «Ma ogni risposta a una domanda ne apre sempre di nuove. Con lui è così, i misteri non finiscono mai».