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 2019  marzo 24 Domenica calendario

Il reddito di cittadinanza arricchisce il sindacato

«Digli la parte bella», fa al fratello il vecchio squalo di “Una poltrona per due”. «La parte bella», risponde quello, «è che, a prescindere dal fatto che i nostri clienti guadagnino denaro o perdano denaro, la Duke & Duke prende una percentuale». Funziona così anche con i Centri di assistenza fiscale italiani: a prescindere dal fatto che chi si rivolge a loro ottenga o meno il reddito di cittadinanza, i trentacinquemila Caf legati alla Cgil, alle Acli e a tutti gli altri sindacati e associazioni incassano la provvigione per avere lavorato la domanda. La differenza con gli speculatori di Wall Street è che, in questo caso, a pagare è il contribuente. Dieci euro netti, ovvero 12,2 euro Iva inclusa per ogni pratica aperta, stabilisce la convenzione concordata nei giorni scorsi con l’Inps, cui spetterà poi accogliere o respingere la richiesta (i Caf si limitano a fare un esame sommario). Più altri cinque euro, Iva compresa, per ogni integrazione ai documenti già consegnati. E siccome i Caf hanno appena festeggiato il superamento delle prime 500mila domande ricevute, il conto è presto fatto: almeno 5 milioni di euro puliti incassati in due settimane. È solo l’inizio: Luigi Di Maio ha previsto che per questa operazione i Caf incassino 35 milioni di euro. I beneficiari del reddito di cittadinanza dovrebbero essere circa 1,3 milioni, ma le domande saranno molte di più. Non tutte transiteranno per i centri di assistenza fiscale: la legge prevede pure la consegna ai patronati e agli uffici postali, oltre all’invio per via telematica. È inevitabile, però, che la grande maggioranza delle pratiche sia sbrigata proprio dai Caf, che sino ad oggi hanno gestito quasi tre quarti delle 700mila richieste presentate.Per i Caf è tutto grasso che cola. Quei 35 milioni di euro si vanno ad aggiungere ai 124,5 milioni l’anno che già ricavano dal solo rapporto di collaborazione con l’Inps, in cambio dei servizi legati al rilascio della certificazione Isee (necessaria per avere accesso a programmi come il bonus bebè e lo stesso reddito di cittadinanza), alla lavorazione dei moduli per l’invalidità civile, delle dichiarazioni dei redditi dei pensionati e alle altre operazioni oggetto di convenzione con l’istituto. Soldi pubblici che si sommano a quelli provenienti dall’Agenzia delle entrate, la quale compensa i Caf con una cifra tra i 16,90 e i 18,30 euro per ogni modello 730 inviato: moltiplicati per gli oltre 17 milioni di contribuenti che ogni anno si rivolgono a loro fanno altri 300 milioni, una torta la cui fetta più grossa finisce ai Caf della Cgil. E questo mentre i loro “cugini”, i patronati, anch’essi membri della grande famiglia sindacale, incassano dallo Stato almeno 430 milioni l’anno: tanto calcolò – prudenzialmente – Giuliano Amato qualche anno fa, quando l’allora premier Mario Monti gli chiese di fare un po’ di luce su bilanci tenuti rigorosamente coperti. Gli altri numeri diffusi ieri dalla Consulta dei Caf dicono che il 6,8% delle domande per il reddito di cittadinanza arriva da chi ha meno di trent’anni. A trainare le richieste dei più giovani sono le regioni del Mezzogiorno, dove costoro rappresentano il 10,3% dei richiedenti. E mentre al Nord e al Centro la prebenda è chiesta da persone singole rispettivamente per il 21% e il 23% (al resto provvedono famiglie composte da più di un individuo), nel Sud la quota dei single scende al 12,4%. Molte le richieste da parte degli stranieri: in media si deve a loro il 9,6% degli incartamenti consegnati ai Caf, ma al Nord la quota dei non italiani sale al 15,4%, per scendere al 9,3% nelle regioni del Centro e crollare al 3,4% in quelle meridionali. Uomini e donne si equivalgono a livello nazionale, anche se al Centro le seconde superano di gran lunga i primi (57,2% contro 42,8).