La Lettura, 24 marzo 2019
Che cos’è l’autopsia psicologica
L’autopsia psicologica è una forma di consulenza tecnica disposta in ambito forense (in Italia meno usata che in altri Paesi) in casi di morte dubbia o violenta. L’obiettivo è di individuare, attraverso la ricostruzione retrospettiva della vita della vittima, gli elementi indicativi delle intenzioni (o dell’eventuale partecipazione attiva) rispetto alla propria morte e di fornire indizi sul tipo di decesso: in pratica fornire al giudice un’ipotesi probabilistica in risposta al quesito se si tratti di suicidio, omicidio o incidente. La scelta di personaggi famosi (con il rischio di sospetto di gossip su un meticoloso lavoro di archivio) deriva dall’enorme disponibilità di scritti, biografie, video, molto superiore a quella del più conosciuto dei pazienti. Inoltre chiunque può verificare direttamente quanto riportato, cosa impossibile nei casi clinici di pazienti sconosciuti, comunemente pubblicati sulle riviste scientifiche. Nella ricerca, l’autopsia psicologica è uno dei pilastri dello studio del suicidio con metodo scientifico. La suicidologia come disciplina nacque a Los Angeles quattro anni prima della morte di Marilyn (1926-1962: foto Brooklyn Museum of Art/Bert Stern/Ap) a opera di due psicologi. E la prima autopsia psicologica della storia fu condotta da loro proprio sulla Monroe. A parere di Liliana Dell’Osso, si trattò di «un escamotage del coroner per condividere con dei tecnici la responsabilità del verdetto su un “cadavere eccellente”: erano ben note le relazioni “pericolose” della diva. Io non ho resistito alla tentazione di riaprire il caso, frettolosamente liquidato con un poco convincente probable suicide». Primo passo: acquisire la documentazione completa, biografica e clinica; quindi affrontare tutti i punti critici, sul piano diagnostico, farmacologico, tossicologico e psicoterapeutico. E ancora: «Non contenta, ho voluto affrontare uno dei punti dolenti della psichiatria del terzo millennio: quello della causa della malattia mentale. Da qui la necessità di passare da un caso di grave psicopatologia conclamata (Marilyn) a un caso di “apparente” normalità. Coco è stata tanto famosa quanto umanamente sconosciuta. Nessuno ha colto, sinora, il grido nascosto dietro alla maschera del successo».