La Lettura, 24 marzo 2019
Wolfgang Streeck: «Vincerà il disordine»
Quando un intellettuale parla di fine del capitalismo, la tentazione di non dargli retta e passare ad altro bussa alla mente. Troppe volte è stata prevista e altrettante volte il sistema economico alla base della prosperità dell’Occidente ha cambiato pelle, è sopravvissuto, ha inaugurato una nuova fase. Questa volta è diverso? Dopo la crisi del 2008 e con il vacillare odierno della globalizzazione è arrivato il momento finale?
Quando scende in campo un peso massimo del pensiero sociale europeo come Wolfgang Streeck, i pregiudizi vanno messi da parte, la sua analisi va presa in considerazione, va discussa perché è interessante e stimolante: non farlo vorrebbe dire che il capitalismo, almeno quello che vive anche di libero pensiero, sarebbe davvero già morto.
Streeck sarà a Torino giovedì 28 marzo, nel quadro di Biennale Democrazia: interverrà dunque in uno dei Paesi europei che più sentono la crisi del modello del quale prevede la fine. Collocato saldamente nella sinistra politica tedesca, oggi direttore emerito del Max Planck Institute per lo Studio delle società, a Colonia, è una figura tra le più rilevanti e autorevoli nel dibattito politico europeo. Nei suoi scritti più recenti sostiene che il «capitalismo dell’Ocse», cioè quello delle economie più avanzate, è «in una traiettoria di crisi sin dagli anni Settanta». In passato, la capacità del sistema di sopravvivere è dipesa da «un continuo lavoro di riparazione», ha scritto nel suo libro più recente, How Will Capitalism End?, una raccolta di saggi scritti in seguito alla crisi del 2008. «Oggi, tuttavia, troppe fragilità sono diventate simultaneamente acute – continua – mentre troppi rimedi si sono esauriti o sono stati distrutti». Da qui la previsione: «La fine del capitalismo può quindi essere immaginata come morte da un migliaio di tagli, o da una molteplicità di malattie ognuna delle quali sarà sempre più intrattabile in quanto tutte domanderanno cure allo stesso tempo». Il sociologo individua tre tendenze di lungo termine che corrono in parallelo «attraverso l’intera famiglia delle ricche democrazie capitaliste: declino della crescita, crescente disuguaglianza e aumento del debito – pubblico, privato e complessivo». Trend inarrestabili: «Non c’è niente in vista che possa anche solo un po’ sembrare abbastanza potente per spezzare le tre tendenze, diventate profondamente radicate e densamente interconnesse».
Secondo Streeck, il capitalismo è entrato nella «fase finale»: è un sistema che «sta svanendo di suo, collassando per le contraddizioni interne». E che – passaggio estremamente interessante – non sarà necessariamente seguito dal socialismo e da un altro ordine definito, ma da «un duraturo interregno», da un «periodo prolungato di entropia sociale», in sostanza di disordine. In un’intervista scritta a «la Lettura», Streeck dice che si augurerebbe come alternativa l’arrivo del socialismo, inteso come «società con un’ampia fornitura di beni collettivi», con «un alto livello di solidarietà», capace di «assicurare i suoi membri contro i rischi e proteggerli dalle conseguenze avverse della competizione internazionale e del fare profitto individuale». Ma nella sua analisi non è vicino. Non ci sono «nuove élite in grado di disegnare e desiderose di installare un nuovo ordine».
In questo futuro caotico, ci saranno presumibilmente diverse forme di vita economica e sociale, per quanto instabile. «Prima che il capitalismo vada all’inferno, per il futuro prevedibile esso resisterà in un limbo, morto o moribondo a causa dell’overdose di sé stesso ma ancora molto presente, dal momento che nessuno avrà il potere di rimuovere il suo corpo in decomposizione». Potrebbero sopravvivere forme di capitalismo senza democrazia? «Ovviamente possono – risponde —. Vedi il Cile sotto Pinochet o la Cina oggi o gli Stati Uniti (una plutocrazia più che una democrazia). Il capitalismo sta nell’investire capitale per creare più capitale per più investimento. Non c’è ragione per la quale questo debba richiedere una democrazia. In realtà, il capitalismo del libero mercato non può convivere con la democrazia a meno che essa sia mozzata, per esempio sia impedita a intervenire nella proprietà privata e sia tollerante di alta disuguaglianza».
Una visione radicale dei processi economici e sociali. Che prefigura la fase confusa che ad avviso di Streeck sarà caratterizzata da un disordine sociale nel quale prevarrà «una cultura di edonismo competitivo, qualcosa che crea una virtù derivante dalla necessità di dovere combattere da soli con l’avversità e con l’incertezza». Senza un sistema capace di integrare, serviranno «un mercato del lavoro e un processo produttivo in grado di sostenere un’etica del lavoro neoprotestante in parallelo a un consumismo edonistico socialmente obbligatorio». Per mantenere la gente «irragionevolmente felice».
Streeck, però, non si limita alla grande analisi socioeconomica. È anche un protagonista del dibattito politico. In questa fase, ha un’opinione forte su euro ed Europa. «Credo che l’euro si spezzerà – risponde, sempre per iscritto – ma ciò non sarà necessariamente seguito da una rottura della Ue. Credo che la Ue necessiti di essere fondamentalmente riformata nella direzione di maggiore uguaglianza tra i suoi Stati membri e di maggiore sovranità per essi, e generalmente meno centralizzata. L’Europa non può essere governata da un impero franco-tedesco».
Ed è piuttosto disilluso dal rapporto tra Parigi e Berlino, anche di fronte a Emmanuel Macron che avanza proposte di cambiamento e alla leader della tedesca Cdu, Annette Kramp-Karrenbauer, che le respinge. «La questione è molto più di un dibattito tra due individui. Riguarda il cuore del futuro dell’Europa post Brexit: più francese o più tedesca o un mix delle due; quali saranno le relazioni con il resto d’Europa; quale ruolo giocheranno il settore militare e l’esportazione di armi, inclusa la forza nucleare francese. Incidentalmente, Macron parla di “una Francia sovrana in un’Europa sovrana” e parla sempre meno di riforme e sempre più di “rifondazione dell’Europa”, qualsiasi cosa ciò significhi. Su entrambi i versanti, tutto ciò non è questione di idee quanto di interessi nazionali. La gente dovrebbe capirlo, per evitare di essere accecata dalla retorica inventata dagli specialisti delle relazioni pubbliche nei governi e nei quartier generali dei partiti».
Un socialista in attesa dell’autostrangolamento del capitalismo e dell’implosione dell’euro. Vasto programma.