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 2019  marzo 24 Domenica calendario

La cena dei bibliofili a casa di Franco Maria Ricci

Frittata Nievo, trippa di Collodi, salsicce e crauti di Stendhal, le polpette dell’osteria dei Promessi sposi... «A noi basta che gli avventori siano galantuomini: chi siano poi, o chi non siano, non fa niente. E ora vi porterò un piatto di polpette, che le simili non le avete mai mangiate», disse l’oste del Manzoni.
Erano tutti di certo galantuomini venerdì sera, accomodati alla tavola del ristorante dentro il Labirinto della Magione di Franco Maria Ricci, campagna di Fontanellato, Parma, città di Bodoni e di anolini, di tortelli e Bertolucci. Terra di arte, di poesia, di libri fatti bene e di cibi cucinati meglio. Ben arrivati alla Cena dei bibliofili, evento esclusivo – sessanta selezionatissimi invitati: collezionisti, librai, editori e giornalisti, tutti ossessionati dai demoni di carta – della prima edizione del «Filo d’Arianna»: un’esposizione di libri di pregio antichi e moderni organizzata questo weekend a casa di Franco Maria Ricci, 81 ormai faticosi anni (però elegantissimo al centro del lungo tavolo), editore che per vent’anni, fra i Sessanta e gli Ottanta, ha pubblicato i più bei libri del nostro Paese. E che poi si è dato alla sua opera per eccellenza: la costruzione del più grande labirinto di bambù del mondo. Che è qui fuori... oltre le vetrate del ristorante, oltre la corte centrale del parco con gli stand dei librai antiquari più importanti d’Italia, oltre ogni possibile sogno borgesiano... E dove c’è un labirinto, c’è un filo. Il filo d’Arianna. La metafora di qualcosa che salva. E cosa può salvare di più l’Uomo, se non la lettura e il libro?
Il futuro del libro è antico. E le due mostre che fanno da contorno alla cena dei bibliofili ne raccontano la bellezza senza tempo: una è dedicata alla raccolta bodoniana di Franco Maria Ricci, la più completa al mondo in mani private e normalmente chiusa al pubblico, con una ventina di opere accuratamente selezionate di Giambattista Bodoni (1740-1813); l’altra ruota attorno alla meravigliosa collezione di libri d’artista di Corrado Mingardi, con i volumi illustrati più belli dell’Otto e Novecento: Jazz di Matisse, Il corvo di Poe coi disegni di Manet, i libri in libertà di Marinetti e Depero, e poi Picasso, Braque, Giacometti, Burri, Baj, Warhol... Capolavori da divorare.
A tavola, è pronto! Gli ospiti sono eleganti e esigenti. Polpette, plaquette, poetesse e pochette. E rafforzano l’idea che libro e cibo siano legati da un altro lunghissimo filo d’Arianna: la cucina e la letteratura sono – insieme – alla base della civiltà occidentale. Il cibo e il nettare degli dèi nei poemi omerici, il Simposio di Platone, la cena di Trimalcione, il Convivio di Dante, il Paese di Bengodi, l’aggettivo romanzesco pantagruelico, l’anti-cucina futurista, i rognoni di castrato alla griglia di Joyce, l’inarrivabile risotto di Carlo Emilio Gadda, i pastasciutteschi libri di Prezzolini fino agli arancini di Camilleri... Il sogno di una vita come un lungo pranzo interrotto solo da qualche lettura.
Del resto chi ama i libri, li ama talmente tanto che se li mangerebbe. Dalla bibliofilia alla bibliofagia il piatto è breve.
Bibliofili e gourmet. L’elenco dei nomi storici è lungo: il raffinatissimo Aldo Buzzi, Orio Vergani (che fondò L’Accademia italiana della cucina), Piero Camporesi (lo scienziato del cibo), Mario Soldati e Gianni Brera (alta scrittura e grandi pacciade), Luigi Veronelli... La lista degli ospiti, stasera, lo è ancora di più. C’è il libraio antiquario e curatore di favolose mostre di carta Andrea Tomasetig. Ci sono le figlie – stesso stile e stesso carattere – di Enrico Tallone, l’Editore par excellence. C’è il giornalista Carlo Ottaviano, siciliano milanesissimo, già direttore editoriale del Gambero Rosso, ideatore di «Food&Book» a Montecatini e collezionista di cartografia e scrittori di viaggio. Ci sono librai che hanno fatto la storia e fanno il mercato, come Paolo Tonini dell’Arengario di Gussago, o Giovanni Biancardi del Muro di Tessa. Ci sono i leggendari Fiorin, delle edizioni d’arte Colophon. C’è Andrea Kerbaker, bibliofilo che ha già aperto una magnifica «Kasa dei Libri» a Milano, ma ne possiede così tanti e così belli che sta pensando anche a uno speciale Kapannone. C’è Filippo Maglione, maestro della grafica applicata alla comunicazione, di Padova, dandy e collezionista di settecentine. C’è Massimo Gatta, forse il maggiore esperto di editoria italiana del Novecento. C’è Vincenzo Campo, da Giuliana, Palermo, alla Bovisa, Milano, per creare la casa editrice più bella di oggi, di cui si parlerà domani: la Henry Beyle, che nel nome racchiude un omaggio a Stendhal e nel catalogo ormai più di duecento imperdibili titoli. E infine il Maestro di cerimonie: Stefano Salis, giornalista bibliofilo di peso, ideatore con Angela Zaffignani della cena-evento, forchetta degna della grande penna, il miglior amico degli amici dei libri. Affiancato, a tavola e in sala, dall’italianista dell’Università di Bologna Gino Ruozzi e dal sommelier, bibliofilo e viticoltore Giovanni Gregoletto. Sono loro a raccontare libri, portate, vini e aneddoti ai commensali, accomodati attorno alla lunghissima tavola, apparecchiata sotto le copertine inquadrate della «Biblioteca di Babele» di FMR, candelabri d’argento, tovaglia di lino e fantastici decanter che riproducono gli insetti nocivi alla vite, prodotti dal mastro vetraio Massimo Lunardon... La mise en place, come la scrittura, è un’arte.
La grande letteratura, come la grande cucina, è una questione di accostamenti, sperimentazioni, tradizione, inventiva e fantasia.
I piatti stasera – Bon appétit – sono ripensati dallo chef stellato Massimo Spigaroli e ispirati al canone letterario universale: dall’entrata al dolce si citano scrittori e ricette diventate celebri, passate dalle cucine alle pagine dei libri e viceversa. L’autorevole cena ha un ricco menu, stampato in edizione limitata e regalato ai fortunatissimi ospiti. Si comincia con le polpette di Manzoni – portata che entra in scena e in cena in un momento delicato del romanzo... – e si continua con il pollo del conte Dracula, la zuppa di pesce di Dostoevskij (che unisce i fratelli Ivan, più carnale, e Alëia, più spirituale), e poi il risotto di Fogazzaro (che nel romanzo rimane tutto nei piatti, qui sparisce nel giro di una pagina), le costolette di Maupassant, e poi l’Ogliapotrida, il piatto castigliano della festa, dal sapore forte, cibo e sesso alla Casanova: «Per ciò che riguarda le donne, ho sempre trovato che quella che amavo aveva un buon odore, e più la traspirazione era forte più mi sembrava soave. Che gusto depravato!», scrive il libertino, che finirà bibliotecario, nell’Histoire de ma vie. E si chiude col cioccolato Des Esseintes: «Erano state servite, in piatti orlati di nero, creme ambrate al cioccolato, prugne, conserve di uva, more, ciliege nere». E pensando a ritroso, ai piatti gustati e ai volumi sfogliati per un intero giorno e una lunga sera, ti rendi conto che, alla fine, chi si occupa di libri, si occupa di niente. L’importante, allora, è farlo con classe.