Corriere della Sera, 24 marzo 2019
Le braci della questione irlandese
Durante un viaggio a Dublino, qualche mese fa, ho cercato inutilmente una qualsiasi traccia del confine che separa la Repubblica d’Irlanda dall’Ulster, una regione britannica nella parte settentrionale dell’isola. Mi sono accorto di averlo oltrepassato soltanto quando ho notato che l’architettura delle chiese era diversa e che quelle dell’Ulster, come nell’Inghilterra anglicana, sono sormontate da una semplice cuspide. Il confine è scomparso dopo gli accordi anglo-irlandesi del Venerdì Santo, nel 1998, ed è diventato inutile per la comune appartenenza dei due Paesi alla Unione Europea e al suo mercato unico. Ma potrebbe fare una nuova apparizione se nelle prossime settimane l’Unione Europea e il Regno Unito non saranno riusciti a trovare un backstop, la parola inglese che il Dizionario Ragazzini di Zanichelli traduce in italiano con espressioni molto vaghe come «protezione sul fondo di qualcosa, sostegno, appoggio, misura di emergenza, ultima risorsa». La soluzione sembrava a portata di mano quando i negoziatori proposero che la Gran Bretagna stabilisse con l’Ue un rapporto simile a quello raggiunto con la Norvegia: un Paese che non ne è membro, ma fa parte di una stessa unione doganale. I partigiani della Brexit si sono opposti e qualcuno ha suggerito che della unione doganale con la Ue faccia parte soltanto l’Ulster; ma il governo britannico ha osservato con ragione che questa soluzione avrebbe l’effetto di creare una frontiera marittima tra il Regno Unito e una sua regione. Sapevo che il backstop è utile e desiderabile, ma confesso di avere pensato che non fosse impossibile, dopo tanti anni di pacifica convivenza, evitare il ritorno al periodo dei troubles, come sono definiti gli anni in cui le organizzazioni militari dei cattolici e dei protestanti insanguinavano l’isola con i loro attentati. Sono stato troppo ottimista. I vecchi nemici non hanno smesso di odiarsi. Come ricorda David Bond in un lungo articolo sul Financial Times del 15 marzo, esistono nel campo cattolico una nuova Ira (Irish Republican Army) e un movimento politico (Saoradh, Liberazione) che è il suo portavoce, non riconosce gli accordi del Venerdì Santo e continua a invocare la riunificazione dell’isola. Vi sono già stati alcuni episodi di violenza (tre morti fra il febbraio del 2018 e il gennaio del 2019) mentre i Servizi responsabili per la sicurezza interna del Regno Unito (MI5) spendono per la questione irlandese una somma (più di 100 milioni di sterline) che corrisponde a un quinto del loro bilancio. Le autorità di Londra e quelle di Dublino continueranno a collaborare, ma in un contesto alquanto diverso e qualcuno, in particolare, teme che l’uscita della Gran Bretagna dal Regno Unito renda più difficile l’uso automatico del mandato d’arresto europeo. Sono buone ragioni per evitare che l’Irlanda sia ancora una volta divisa da un confine e argomenti per coloro che chiedono un secondo referendum.