Quattromila ispettori
Con queste premesse, escludere categoricamente che il reddito di cittadinanza possa finire in mano a chi lavora già in nero o di chi potrebbe cominciare a farlo dopo essersi fatto licenziare dalla propria azienda, diventa un impegno estremamente difficile da mantenere. «Anche perché — racconta uno degli ispettori Inps, Giancarlo Sponchia, che è anche il presidente di Aniv, l’associazione nazionale ispettori vigilanza — abbiamo in queste settimane notizie soprattutto dalla Campania e dalla Sicilia di un aumento anomalo dei licenziamenti, oltre che una certa accelerazione dei cambi di residenza».
Oggi abbiamo in Italia poco più di 4 mila ispettori del lavoro (tra ex dipendenti del ministero e di Inps e Inail, compreso un corpo ad hoc di carabinieri) che eseguono ogni anno circa 160 mila controlli su altrettante imprese. Ma le aziende italiane con dipendenti in Italia sono un milione 800 mila: 456 per ogni ispettore. Si dirà che per scovare i “furbetti della card” saranno mobilitati anche i finanzieri delle Fiamme Gialle, che faranno più controlli sulle prestazioni sociali agevolate. Ma abbiamo un’idea di quanti siano oggi quei controlli? Nei primi sei mesi del 2018 sono stati 8.847 su altrettante persone (e di queste, il 61% non ne aveva neppure diritto). Dunque una goccia nell’oceano, se consideriamo che i potenziali beneficiari del reddito di cittadinanza sono quasi quattro milioni.
Inps, Inail e ministero del Lavoro
Ma il problema non è solo lo scarso numero di ispettori e finanzieri schierati nella lotta all’abuso del reddito minimo. È soprattutto la qualità dei controlli, anche perché di fronte ai milioni di aziende e di lavoratori, ispezioni a tappeto sarebbero in ogni caso impossibili. L’Ispettorato nazionale del lavoro, nato da una costola del Jobs Act, avrebbe dovuto unificare in un solo organismo le attività di ispezione del ministero del Lavoro, dell’Inps e dell’Inail.
Un’impressionante mole di battaglie da ingaggiare: contro il lavoro nero, il caporalato in agricoltura, l’evasione contributiva e assicurativa, l’abuso dei contratti, i tirocini che nascondono rapporti di lavoro, le cooperative spurie, le finte partite Iva della flat tax. E ora anche i furbetti del reddito di cittadinanza. Ma un po’ come è successo alle Province, alla fine il nuovo organismo è rimasto sospeso nel limbo delle indecisioni: gli ispettori di Inps e Inail (più dotati di strutture e meglio pagati) sono rimasti dipendenti dei rispettivi enti (con ruolo ad esaurimento), mentre l’Ispettorato è stato incaricato di assumere gli ispettori che prima lavoravano al ministero e di dettare le linee di condotta per tutti e tre gli enti. «Il risultato — racconta l’ispettore Inps — è che non si è provveduto a collegare le banche dati di Inps e Inail (tra loro comunicanti e anche piuttosto efficienti) con quella dell’Ispettorato». Lo stesso identico paradosso scoperto nei Centri per l’impiego. «Così gli ex ispettori ministeriali continuano a lavorare in modo estemporaneo, sulla base di segnalazioni e denunce, senza quella programmazione che solo l’incrocio preventivo di dati può assicurare. Insomma, manca loro quella attività di intelligence che consente invece a noi dell’Inps e ai nostri colleghi dell’Inail di andare più a colpo sicuro nelle missioni, le quali infatti presentano irregolarità nell’80% dei casi, contro il 60% circa dell’Ispettorato».
Coordinamento nel caos Al danno, poi si aggiunge la beffa, perché invece dell’integrazione o del coordinamento, alla fine abbiamo solo più burocrazia: una commissione centrale e tante commissioni regionali che si riuniscono una volta al mese per programmare gli interventi. «È assurdo, spiega il nostro ispettore: mentre le imprese che truffano lo Stato nascono e muoiono in pochi giorni o nel giro di poche ore, noi ci muoviamo con cadenza mensile, con una montagna di mail di autorizzazioni da chiedere. Insomma, il nuovo Ispettorato, invece di semplificare e accelerare le missioni, ha finito per depotenziare la nostra autonomia. Per fortuna ci restano i margini per organizzare blitz e iniziative autonome. Cosa che è preclusa agli ex ispettori ministeriali: se una mattina un appuntamento va a vuoto, non possono dirottare la loro missione verso altri obiettivi. Devono rientrare alla base e chiedere una successiva autorizzazione. È chiaro che il sistema così non funziona».
Il personale nel territorio
Infine la scarsità del personale e soprattutto la sua cattiva distribuzione territoriale. Le province di Milano. Monza e Brianza e Lodi, tra le più ricche di aziende, sono in mano ad appena 60 persone: un rapporto così squilibrato che la probabilità di un’impresa di essere ispezionata è una volta ogni 40 anni. In Sicilia, seconda regione per numero di potenziali beneficiari del reddito minimo, gli addetti ai controlli (dipendenti regionali e non dell’Ispettorato) sono 126 ma in strada ci vanno in 96: 16 a Messina, solo 3 a Palermo e 2 a Ragusa, una delle capitali dello sfruttamento agricolo dei lavoratori. «Tenete conto — dice Sponchia — che negli ultimi tre anni se ne sono andati oltre trecento ispettori in tutta Italia, e che la nostra età media viaggia tra i 55 e i 65 anni, per cui ci aspettiamo quanto meno un altro centinaio in partenza con quota 100».
Il risultato finale di un sistema strutturalmente deficitario, mal governato e male organizzato, è che in sei anni il numero dei controlli si è ridotto di un terzo, solo in minima parte per l’abbattimento delle sovrapposizioni di interventi. E di altrettanto sono diminuite le somme recuperate.