La Stampa, 24 marzo 2019
In morte di Rafi Eitan, mitica spia del Mossad
Ieri al tramonto, appena uscito il Sabato ebraico, la notizia è apparsa sulla seguitissima pagina Facebook del Presidente Rivlin: «Ci ha lasciati un combattente coraggioso il cui contributo alla sicurezza dello stato d’Israele sarà ancora tale per molte generazioni a venire. Rafi era un combattente nell’anima, fedele alla missione e alla sua verità. Quest’oggi chiniamo il capo alla sua memoria, con profonda gratitudine e non meno ammirazione ci congediamo da lui».
Rafi Eitan, morto ieri a novantadue anni, era l’uomo simbolo del Mossad, oltre che grande amico personale del Presidente. Definirlo «la spia» per antonomasia dei leggendari servizi segreti israeliani è però estremamente riduttivo. Rafi Eitan è stato ben di più, e il Mossad è stato ben altro che un sistema di raccolta di informazioni: questa istituzione ha al tempo stesso formato e servito il paese nei suoi momenti cruciali. I suoi eroi non erano dei fascinosi playboy in smoking che saltavano fra i tetti, e nemmeno pistoleri dal grilletto pronto: non avevano – e non hanno – nulla di ciò che segna l’immaginario tradizionale dello 007.
Men che meno l’aveva Rafi Eitan: un ometto minuto dal viso rotondo e gli occhiali con le lenti spesse, appena avvizzito dall’età, dall’aria mite e financo un poco fragile. La voce vagamente tremula, il sorriso ironico e la prontezza della battute: tutto era ancora intatto malgrado l’età. Lo si può vedere e ascoltare in un documentario a puntate sul Mossad, ora sulla piattaforma Netflix.
La spia delle spie
Rafi Eitan era la «master spy», come si direbbe in ebraico, la «spia delle spie»: centinaia di operazioni portate a termine, anche se la più famosa resterà la cattura di Eichmann. «É stata una delle più semplici», raccontava con un’ombra di sorriso, «magari fossero state tutte così: incroci un uomo per strada, gli metti una mano sulla spalla, gli placchi la testa, ed è fatta». Naturalmente non andò proprio così, ma certo già nel 1960, ai tempi della cattura del criminale nazista dopo una lunga caccia in Sudamerica, Rafi Eitan ne aveva già viste tante.
La Resistenza e la guerra
Era nato a Ein Harod, un kibbutz al nord di Israele, in una famiglia di immigrati russi, aveva frequentato la scuola agricola e per un certo periodo anche la London School of Economics, prima di aderire al Palmach, il movimento di Resistenza armata agli inglesi che nel 1948 diventerà l’esercito del neonato stato ebraico. Rafi Eitan aveva partecipato fra il resto a un’operazione per liberare un gruppo di profughi ebrei, sopravvissuti alla Shoah, rinchiusi dal governo mandatario britannico al campo di raccolta di Atlit. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale aveva inoltre collaborato a una serie di operazioni legate all’immigrazione clandestina degli ebrei dall’Europa nella Palestina mandataria. Poi combattè nella guerra di Indipendenza d’Israele, 1947-1948, nel corso della quale rimase ferito.
Imprenditore e politico
Era un grande soldato, ma non era soltanto un soldato. È stato un uomo di spicco del Mossad, certo, e un politico, un ministro e consulente governativo su temi del terrorismo e naturalmente dell’intelligence. Ma era anche un uomo d’affari. Rafi Eitan aveva dalla sua una intelligenza strabiliante, e soprattutto una capacità di intuizione formidabile. Incarnava un eclettismo «strategico» che è stato fondamentale per la costruzione dello stato ebraico, e non solo sul piano della sicurezza e della raccolta di informazioni necessaria alla sicurezza stessa. Perché c’era qualcosa che animava tutti questi uomini, e forse lui più di tutti, che li rendeva instancabili ma soprattutto «creativi» nel contesto delle operazioni condotte, qualcosa che era una sorta di impulso morale: salvaguardare Israele, tenere al sicuro quel popolo che così tanto aveva visto e patito. La cattura di Eichmann non era tecnicamente «necessaria» alla sopravvivenza d’Israele. Era un dettato di giustizia, tanto per gli ebrei quanto per il resto del mondo. Rafi Eitan la portò a termine perché sentiva di doverlo fare, e sapeva di esserne capace – malgrado la quantità di imprevisti, intoppi e difficoltà oggettive.
È stato, insomma, un uomo eccezionale. Una figura mitica che ha sempre preferito restare non tanto nell’ombra misteriosa della spia da cinematografo, quanto in quella di una normalità che tale non era affatto. Incrociandolo per via, tanto a Buenos Aires quanto a Tel Aviv, non l’avresti mai detto, che lui era quello che era.