Corriere della Sera, 23 marzo 2019
Il potere e i fragili controlli
Molte sono le anomalie dell’assetto politico costituzionale uscito dalle elezioni di un anno fa. Un governo finora senza vera opposizione (questa è tale se capace di presentare una offerta politica e di assicurare una guida coesa). Un esecutivo diviso su tutto, anche sulla politica estera (basti pensare all’atteggiamento nei confronti della Cina). Parlamento e Consiglio dei ministri svuotati e le loro funzioni trasferite ai vertici delle due forze politiche al governo. Amministrazioni pubbliche «sfiduciate» (se si ricorre a commissari straordinari per le opere pubbliche è perché non si fa affidamento sugli apparati ordinari). Autorità indipendenti silenziate e costrette alla cessione di indipendenza, per assicurare «discontinuità» e contemporaneamente salvare il salvabile.
Resisterà la nostra giovane democrazia a queste nuove tensioni? Sappiamo che democrazia non è solo elezioni, è anche pluralismo, «checks and balances», competizione e controlli, contropoteri, per correggere almeno le maggiori anomalie, anche perché il conflitto tra i poteri è in grado di renderne visibile l’esercizio e consentire il controllo dell’elettorato su chi governa. Ma il nostro sistema di garanzie è debole. La Corte costituzionale, regolata dagli articoli della Costituzione intitolati «garanzie costituzionali», è rinchiusa nelle procedure giudiziarie.
Ciò nonostante non faccia parte dell’«ordinamento giurisdizionale». E si è destinata ad esser un organo solo «reactive», non «proactive», anche a causa della prassi di far ruotare troppo rapidamente i suoi presidenti. L’Ufficio parlamentare di bilancio svolge un lavoro eccellente, ma opera in sordina e non viene ascoltato. Le amministrazioni pubbliche, il cui prestigio e la cui forza sono diminuiti dallo «spoils system», non riescono a far valere la propria «expertise» e il fatto di essere i depositari della competenza tecnica. Quell’insieme di forze della società civile che gli inglesi chiamano «establishment» è incerto nel giudicare e privo di voce nell’esprimersi. Finisce, così, che mentre potremmo seguire gli esempi luminosi di Quintino Sella e di Luigi Einaudi, ci facciamo insegnare dai partner europei la politica del risparmio.
Se gli anticorpi sono deboli, il sistema rischia di non reggere, ed allora sarà necessario cominciare a pensare agli organismi che possano far passare la nostra democrazia dall’infanzia alla maturità. Innanzitutto, occorrerebbe valorizzare quei corpi intermedi che la continua evocazione del popolo pare aver zittito. Essi hanno contribuito al progresso della democrazia italiana e del suo pluralismo. Bisognerebbe, poi, aumentare procedure di consultazione che coinvolgano interessati, associazioni, categorie, che possono concorrere alla conoscenza dei problemi e alla ricerca di soluzioni. Appaiono, infine, sempre più necessarie una o più autorità – se possibile collegiali – che, per la loro collocazione, per il prestigio, per i poteri, per la durata nella carica, per il peso morale, possano insegnare, correggere, far ripensare, senza impedire l’esercizio dei poteri affidati agli organi rappresentativi. Non un sinedrio di dotti o governanti/filosofi, ma un manipolo di persone di esperienza e discernimento, che siano in grado di mettere sull’avviso, di consigliare, e capaci di farsi ascoltare. Rafforzate così le basi della democrazia, il Parlamento potrà davvero esercitare quella sovranità che il popolo gli ha delegato e che è oggi assente. Forse così si potrà un giorno anche dimenticare il timore del tiranno che ha indebolito l’esecutivo nel corso della storia repubblicana.