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 2019  marzo 23 Sabato calendario

Quando Nobu cucinò per Benigni

Il testo che pubblichiamo è una anticipazione di “Nobu: l’autobiografia”, in libreria il 28 marzo per HarperCollins (pag. 238 – 18,50 euro. Traduzione di Isabella Polli)


Circa sei mesi dopo l’apertura il Matsuhisa fu recensito sul Los Angeles Times e su la Weekly e i clienti raddoppiarono. Eravamo tutti felici di vedere gli articoli che parlavano del ristorante. La prima volta andai a comprare dieci copie del giornale. Il successo fu così grande che era difficile riuscire a prenotare. Anche se lavoravamo come forsennati, per me ogni giorno era una festa di cui non potevo stancarmi.
Due anni più tardi fui selezionato dalla rivista Food& Wine fra i dieci migliori chef emergenti e nel 1993 il New York Times incluse il Matsuhisa fra i dieci migliori ristoranti del mondo. L’unico ristorante situato in Giappone all’interno di quella lista era il Kitcho di Kyoto. Questo mi fece molto piacere perché in confronto al Matsuhisa, che aveva aperto pochi anni prima, il Kitcho aveva una lunga tradizione. Poco tempo dopo ricevemmo una prenotazione per due persone da parte di qualcuno che aveva visto la recensione del New York Times. Il giorno stabilito, davanti al Matsuhisa si fermò una limousine, da cui scesero un uomo in smoking e una donna in abito da sera. Nel nostro ristorante a quei tempi i tavoli erano coperti da un telo di plastica e distavano uno dall’altro soltanto quindici centimetri. La coppia si guardò intorno con aria perplessa: sicuramente si stavano chiedendo se erano venuti nel posto giusto. Io li salutai e feci le solite domande sulle loro preferenze, poi cominciai a servire il menu omakase, scegliendo le ricette in base all’osservazione delle loro reazioni. Ricordo ancora l’aria felice che avevano quando uscirono dal locale. L’autore di una newsletter molto seguita cominciò a frequentare regolarmente il ristorante. Grazie al fatto che ci trovavamo a Hollywood, quando scrisse su di noi molte stelle del cinema e molte celebrità cominciarono a frequentarci. Perfino Tom Cruise chiamò per prenotare un tavolo, ma dovetti dirgli di no perché eravamo al completo. Il Matsuhisa era piccolo, aveva solo trentotto coperti e se erano già tutti prenotati non avevo altra scelta che rifiutare le prenotazioni, anche se venivano da un astro nascente di Hollywood. Più tardi mi chiamò Mike Ovitz, un importante agente che era già venuto spesso al Matsuhisa. «Non dovevi dire di no a Tom Cruise» mi rimproverò. Tom Cruise venne un altro giorno e quando mi scusai di persona fu molto gentile. Madonna era una cliente abituale fin dall’inizio. So che a volte restava in fila con gli altri anche per mezz’ora, se non aveva prenotato. Ha anche scritto una bella frase per la fascetta del mio primo libro di ricette, Nobu. Tutte le ricette. Quando è in tour in Giappone passa sempre dal Nobu di Tokyo. Quando Barbra Streisand venne per la prima volta al Matsuhisa un cliente me la indicò: «Nobu, quella è Barbra Streisand. Devi andare al suo tavolo a salutarla». Io ubbidii, ma non avevo idea di chi fosse. Lei e la sua amica erano così prese dalla conversazione che non volli interromperle. Tornai al banco e chiesi al cliente: «Quale delle due è Barbra Streisand?». Lui scoppiò a ridere. Nel periodo degli Oscar vengono a mangiare al Matsuhisa attori e attrici da tutto il mondo. Il comico italiano Roberto Benigni venne qualche giorno prima della cerimonia, l’anno in cui fu nominato per La vita è bella. Gli dissi, scherzosamente: «Se torna ogni giorno vincerà di sicuro». E lui tornò davvero ogni giorno, con la moglie Nicoletta Braschi. La sera della premiazione guardai la tv, sperando che vincesse. Quando annunciarono la sua vittoria, Benigni saltò sulla sedia e alzò le braccia in aria. Anch’io ero felice. Su una parete del Matsuhisa c’è ancora un poster della Vita è bella autografato. Le recensioni su giornali e riviste contribuirono senza dubbio alla popolarità del ristorante, ma scoprii che in un certo senso potevano anche essere pericolose. Chi le leggeva arrivava carico di aspettative. Sapere di doverle soddisfare mi teneva in tensione. Servivo i clienti con tutta la passione che avevo e inculcavo a tutti il mio motto: «Buon cibo, servizio impeccabile e lavoro di squadra». Più tardi scoprii che erano venuti al Matsuhisa anche molti chef di ristoranti famosi. I grandi produttori di Hollywood spesso usavano il mio locale per i pranzi di lavoro più importanti. Non li trattavo mai come primedonne e credo che questo li mettesse a loro agio. Mi comportavo con ogni cliente allo stesso modo, che fosse o no una celebrità, un famoso produttore o un critico gastronomico.
Forse sarebbe più corretto dire che ero talmente concentrato sul mio lavoro da non avere il tempo di preoccuparmi di chi fosse un vip e chi no. La prima volta che lo incontrai non riconobbi nemmeno Robert De Niro, anche se eravamo destinati a diventare soci in affari.