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 2019  marzo 23 Sabato calendario

Biografia di Paola Taverna

Detta Anna Magnani del parlamento, Paola Taverna, incarna la robusta oratoria romanesca trapiantata dai mercati rionali al seggio senatorio. Fiera popolana dai bei capelli sciolti, la neocinquantenne senatrice grillina (mezzo secolo il 2 marzo) è una sapiente lanciatrice di invettive che pare uscita dai versi di Trilussa. «Ma va a morì ammazzato», gridò dal palco a un contestatore di Virginia Raggi, sindaco di Roma, «potevi fa’ la metro e ora rompi li cojoni perché volemo fa la funivia?».

Sempre accesa come un prospero, ha incendiato i dibattiti di Palazzo Madama con urla appassionate, accusando destra e manca di ruberie in contrasto con l’ illibatezza dei 5 stelle. Ha invitato il collega del Pd, Stefano Esposito «de sputatte allo specchio ogni mattina» e minacciato l’ allora senatore, Silvio Berlusconi: «Un giorno de’ questi je sputo». Tra i suoi talenti, la vena facile. Le consente, come il suo concittadino settecentesco, Pietro Metastasio, di improvvisare quartine.

QUARTINE MORALISTE La seguente è dedicata a non so quali degli avversari che il suo moralismo popolano le fa intravedere ovunque: «Ma le bucìe c’ hanno le gambe corte/ se dice a Roma e forse nell’ Italia intera/ la verità è qui, dietro le porte/ le uniche pe’ voi aperte quelle della patria galera». Di fronte a un senatore del suo partito che studiava un piano politico da proporre agli altri schieramenti, lei, che per queste cose non ha pazienza, ha vergato: «Proponi accordi strani e vedi prospettive/ mentre io guardo ’ste mmerde e genero invettive». Del governo Gentiloni ha detto: «È ’na torta de letame».

Reagendo alla mancata promessa di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi di mollare tutto alla sconfitta referendaria (4 dicembre 2016), Taverna previde «un’ inondazione di vomito da chi con un No pensava di esserseli levati dalle palle». Maurizio Gasparri, d’ accordo sul concetto ma disgustato dall’ immagine, sentenziò da destra: «La senatrice Taverna è la prova vivente che il Senato va abolito». Tutto ciò accadeva nella scorsa legislatura, quando la nostra Paola spiaggiò a Palazzo Madama con la prima ondata grillina (2013-2018).

Oggi, alla seconda esperienza, Taverna è nientemeno che uno dei 4 vicepresidenti del Senato. Sensibile al fascino del ruolo, come spesso accade nelle barricadiere di successo, fa ogni sforzo per istituzionalizzarsi. Ha studiato la Costituzione, il Regolamento, gli interventi dei Costituenti. Finita la lettura, ha fatto un’ ammissione: «I nostri padri fondatori non erano poi così cretini».

Debolezza che fa già intravedere dietro il vulcano che fu, la fumarola che potrebbe diventare. Finora, ha avuto una sola ricaduta. Accadde, quando Fi designò Maria Elisabetta Casellati, alla presidenza del Senato, e Anna Maria Bernini, capo gruppo. La grillina approvò: «Ha fatto bene Berlusconi, così dimostra che non frequenta solo mignotte». Voleva fare un complimento ma è rispuntata la Taverna vecchia.

CAPOBASTONE DELLA ROMANITÀ  Prima di farla vicepresidente, i 5 stelle chiesero a Paola se preferisse diventare ministro. Volle restare al Senato. Governare impegna, vicepresiedere gratifica. Ma non è solo questo.

Paola Taverna è uno dei capicorrente del M5s, quello dei romani, forse il gruppo più potente. Gli altri sono ballerini. Il vicepremier, Luigi Di Maio, capo politico pro tempore, è circondato di reggicoda pronti a sparire con il crollo del traballante governo gialloblù. Dopo, lo aspetta un lungo purgatorio solitario. Alessandro Di Battista è più un caciarone che un leader di domani. Resta Roberto Fico, il presidente della Camera. È il capo della sinistra interna e perciò il più precario. Rischia di perdere uomini e voti in favore del Pd da cui molti provengono. Il neosegretario, Nicola Zingaretti, che promette un berlinguerismo di ritorno, con una spruzzata di falce e martello, potrebbe infatti spingerli a un salto della quaglia a ritroso.

I TAVERNICOLI Svetta dunque Taverna, reginetta di numerosi tavernicoli.

Basterà citarne due. Il barbuto, Fabio Massimo Castaldo, oggi vicepresidente dell’ assemblea di Strasburgo. Nella scorsa legislatura, da semplice militante, fu il suo consigliere giuridico. È balzato alle cronache in febbraio per aver partecipato, con Di Maio e Di Battista, in quota Taverna, all’ incontro anti Macron con i gilets jaunes. Rappresenta il respiro internazionale della corrente tavernicola. Poi, Pierpaolo Sileri, senatore e chirurgo futuribile. Specialista di robotica applicata al colon, ha la cattedra alla facoltà di medicina e a quella di ingegneria.

Rappresenta i tavernicoli nella Sanità cittadina e negli incontri con gli Ufo. I voti su cui Paola può contare nella Capitale sono diverse decine di migliaia. Se solo vorrà, sarà il prossimo candidato sindaco del Movimento. Sono infatti nulle le possibilità di conferma della disastrosa collega di partito, Raggi. Tra le due, rapporti solo formali con qualche stilettata. Nota, tuttavia, un’ opinione di famiglia sulla prima cittadina. È quella della sorella di Paola, Annalisa Taverna, pure lei attivista dei 5 stelle, che tempo fa scrisse di Raggi su Facebook: «Hai rotto il c..zo, smettila di fare la bambina deficiente, altrimenti te appendemo pe le recchie sui fili de li panni».

UNA VITA IN PERIFERIA  I Taverna erano papà, mamma e le due sorelle. Abitavano in periferia, prima a Torre Maura poi, alla morte del babbo, al Quarticciolo. Questa perdita fu lo spartiacque per Paola. Il papà, tappezziere, guadagnava bene. Mancato, la ragazza, diciassettenne, che voleva laurearsi dovette accontentarsi del diploma di perito industriale. «Non si lasciano così tre donne nel panico», fu il suo rancore verso il pover’ uomo, come ha raccontato. Poi lo perdonò ma aveva ormai interiorizzato il meccanismo del mondo ingiusto.

Al motto, «io me la cavo sempre», entrò dattilografa in uno studio di fotocomposizione e ne uscì per mettersi in proprio come grafico editoriale. Sposò un odontotecnico e ne ebbe un figlio, Davide, oggi sedicenne. Si separò poi dal marito ma rimasero amici e hanno allevato il ragazzo insieme. Da tempo, ha un compagno più giovane, collega di partito e di parlamento, Stefano Vignaroli, attivista dei rifiuti zero e fiero combattente della discarica romana di Malagrotta. La prima cotta politica di Paola fu per Italia dei valori. Passò poi da Totò Di Pietro a Beppe Grillo, affine ma più mattacchione. Sua mamma, Graziella, era stata invece berlusconiana. Dopo, votò per la figlia.

CUORE DI MAMMA La signora, oggi ultraottantenne, sta dando grattacapi, causa uno sfratto dalla casa popolare che abita da un ventennio. Colpa dell’ aumento dei redditi familiari oltre i limiti fissati per un’ abitazione pubblica a prezzi ridotti, 150 euro mese. Paola non si è piegata e ha spinto la mamma al ricorso.

 Poi, su Youtube si è pianta addosso. «Alla sua età, mia madre ha tutto il diritto di desiderare di morire nel posto in cui ha vissuto», ha sentenziato. Tipico di Roma (ci vivo), confondere il diritto di tutti con il desiderio di ognuno. Il capriccio divora la regola. Un tizio molla l’ auto sulle strisce. «Embè? », gli fai. Quello replica: «Sto a lavora’, c’ ho prescia». E chi s’ è visto, s’ è visto. Lo sfratto è stato confermato e la casa dovrebbe essere liberata. Si spera che Paola ricordi di essere vicepresidente del Senato.