la Repubblica, 23 marzo 2019
Così Scola perse il papato
Scola 30, Bergoglio 26, Ouellet 22, O’Malley 10, Scherer 4. È il sorprendente risultato della prima votazione segreta avvenuta durante l’ultimo conclave, la sera del 12 marzo del 2013, svelato per la prima volta da un poderoso lavoro di Gerard O’Connell, corrispondente in Vaticano di America, la prestigiosa rivista newyorkese dei gesuiti, in uscita negli Stati Uniti col titolo The Election of Pope Francis: An Inside Account of the Conclave That Changed History (Orbis Books, 2019). Secondo una ricostruzione basata su fonti interne accreditate, è proprio la sera del 12 marzo, in seguito quindi alla prima votazione, che Scola perde il conclave. Tutti i media italiani, infatti, danno il discepolo di Ratzinger in vantaggio, forte di almeno 40 voti. Il primo scrutinio, tuttavia, seppure lo vede avanti, dice altro: «Lo Spirito Santo ci stava guidando in una particolare direzione. Dio era lì», dice il cardinale Oswald Gracias.
Prima del conclave per i media lo scontro è fra Scola e Scherer, un italiano e un brasiliano. Quest’ultimo, tuttavia, fin da subito non esiste. Insieme, è immediatamente evidente che l’elettorato italiano è diviso sull’arcivescovo di Milano: non tutti sono disposti a votarlo, i suoi 30 voti sono troppo pochi rispetto alle aspettative.
Nell’anticipazione disponibile in queste ore, O’Connell non offre dettagli sulle altre votazioni. Ma si capisce che fin dalla seconda votazione, il giorno successivo, i cardinali ritengono che lo Spirito vuole soffiare fuori Europa (quattro dei primi cinque cardinali che prendono voti non sono europei) e puntano su Bergoglio. I suoi 26 voti (sarebbe stati 27 se un elettore non avesse sbagliato a digitare il suo nome scrivendo «Broglio») non erano stati previsti. È evidente, quindi, che è lui l’uomo nuovo, il cardinale che deve portare la Chiesa fuori da Vatileaks, un groviglio della cui genesi viene incolpata Roma e con lei parte del cardinalato italiano della curia romana.
Certo, c’è da fare i conti con l’altra sorpresa, il cardinale Ouellet, canadese, curiale, prefetto dei vescovi, spinto dall’ala conservatrice che non vuole Scola. I suoi 22 voti non sono pochi. Per lui inizia a spendersi platealmente il cardinale Joachim Meissner, arcivescovo di Colonia, il principale conservatore della Chiesa tedesca. Vuole assicurarsi che il futuro Papa segua fedelmente la linea e la visione dei suoi due predecessori. E così, la sera a Santa Marta, viene visto in piedi fuori dalla porta della propria stanza mentre esorta gli altri elettori: «Vota per Ouellet! Bergoglio è troppo vecchio!», dice.
L’altra incognita è O’Malley, il primo americano nella storia a raggiungere 10 voti, cappuccino, poliglotta, capace di risollevare Boston dopo gli insabbiamenti dei casi di pedofilia del predecessore Bernard Law. Ma non tutti sono disposti ad avere un Papa proveniente dalla prima potenza mondiale. E così Bergoglio sale. E s’impone. Dalla sua ha il fatto che non ha mai vissuto a Roma, non ha una visione romanocentrica. Ha governato Buenos Aires per 15 anni in un modo pastorale. Ha talento per il governo. Il suo breve discorso nelle Congregazioni generali ha colpito: Cristo è in catene e a tenerlo lì è la Chiesa. I tanti voti dispersi durante la prima votazione s’incanalano su di lui. Fra questi quelli dei 6 cardinali che alla prima votazione prendono due voti: fra loro anche Pell, oggi in carcere. E i 13 che ricevono un solo voto. Per Bergoglio si spendono in modo diverso Maradiaga, Monsengwo, Kasper, Tauran, Turkson, Gracias e altri. Il tempo corre. Trascorre una sola notte. Bergoglio diviene Francesco.