la Repubblica, 23 marzo 2019
Zero amici e notti al pc per Brenton Tarrant
DUNEDIN (NUOVA ZELANDA) Per diciotto mesi una sottile parete di legno e cartongesso ha separato le vite di Brooke e Brenton. La camera da letto di lei, al civico 110 di Somerville Street, confina con il salotto di lui. Eppure neanche Brooke, prima di venerdì 15 marzo, aveva intuito chi fosse veramente Brenton Harrison Tarrant. Non immaginava che in quel bilocale il palestrato venuto dall’Australia stesse progettando il più sanguinoso attentato terroristico della storia della Nuova Zelanda.
Tutto casa e poligono«Era quasi sempre in casa», racconta a Repubblica. «Non aveva amici o una fidanzata, non l’ho mai visto ricevere una visita. Usciva agli orari più vari solo per andare in palestra o al poligono». Brooke ha ventiquattro anni, occhi chiari e un’espressione cortese. Vive con i genitori nell’appartamento adiacente a quello di Tarrant, sulla collina di Dunedin. Quartiere modesto ma dignitoso, si vede il Pacifico da qui. «Mai sentito rumori strani provenire dall’altra parte della parete. Brenton era un tipo silenzioso e notturno, la luce del suo appartamento rimaneva accesa fino a tardi. Secondo me passava il tempo davanti al computer. Mi parlava dei suoi viaggi, mai di politica o di migranti...». Sulla collina di Dunedin l’immigrazione non è neanche un argomento: la città, che conta 130.000 abitanti, provvede alla sistemazione di 180 rifugiati all’anno. Niente.
Tarrant è l’inquilino perfetto. Paga regolarmente le bollette e i 1.200 euro mensili dell’affitto. Sulla cassetta della posta ha scritto: «Niente lettere spazzatura, grazie!». All’inizio di marzo ha chiamato la padrona di casa per annunciarle che avrebbe lasciato l’alloggio. «Tra poco non mi servirà più». Preciso, puntuale. E sociopatico.
“A regular white man”
Otto giorni dopo la mattanza di Christchurch per la quale rischia l’ergastolo a vita in una cella di isolamento, è utile rileggere le 74 pagine del suo disturbante manifesto suprematista “The Great Replacement”. Alla luce di quanto sta emergendo dall’indagine, si intravede una certa coerenza coi fatti nella descrizione che Tarrant offre della propria radicalizzazione. «Sono solo un uomo bianco qualunque, di 28 anni, nato in una famiglia con reddito basso», scriveva di sé. Ripartiamo da qui, dunque. In Australia, a Grafton (300 km a sud di Brisbane) è un ragazzo come gli altri. Suo padre Rodney ha un passato di atleta di medio successo nel triathlon, sua madre Sharon crede nel potere curativo dei cristalli. Lauren, la sorella, è fotografa. Brenton preferisce tirar su manubri: dal 2009 al 2011 fa il personal trainer presso la Big River Gym di Grafton. Coi clienti è gentile e premuroso.
Nel 2010, però, un cancro gli ha portato via il padre. È disorientato. Si licenzia e, coi soldi ereditati, organizza una serie di viaggi all’estero. Tocca la Turchia, la Francia, l’Austria, i Balcani, segue un itinerario dettato da una ossessione: il conflitto storico tra Ottomani ed europei cristiani.
I file criptati sul web
Dove, come, e quando, la strada del turista australiano devia verso il suprematismo? Finora non sono emersi contatti con i movimenti europei di ispirazione nazi-fascista, né con quelli australiani (True Blue, Antipodean Resistance, Australia First Party) o col National Front neozelandese. «Non sono legato a nessuno, anche se ho ho interagito con loro», specifica lui nel manifesto. «Ho deciso l’attentato da solo, solo il Reborn Knight Templar mi ha dato la benedizione». È la fantomatica sigla a cui dichiara di appartenere Anders Breivik, il paranoide nazista della strage di Utoya (77 morti), ritenuta però inesistente dai giudici norvegesi.
Rimane il web per spiegare la sua radicalizzazione. «Considerando quanto i suprematisti siano monitorati dall’intelligence – ragiona l’esperto di sicurezza Alexander Gillespie, professore dell’Università di Waikato – è l’ipotesi più probabile». E Tarrant, online, una vita sociale ce l’ha. Frequenta tre siti – 8chan, Voat, Kiwi Farm – dove ha patria la subcultura dell’Alt-Right, la destra razzista, negazionista e suprematista. Incrociando post, forum e chat protette si potrebbe ricostruire l’intreccio dei suoi contatti internazionali, ma i gestori, in nome della privacy, non collaborano con l’indagine.
A riprova che Internet è la chiave per capire se siamo di fronte a un lupo solitario o a una cellula, su Mega – una piattaforma di condivisione file – Tarrant ha di recente caricato due file criptati, impossibili da leggere per chi non possiede il codice. A chi li ha lasciati?
2017, punto di rottura
Ma torniamo al 2017, quando la radicalizzazione si fa progetto di morte. Tarrant sostiene che l’uccisione dell’undicenne Ebba Akerlung nell’attentato islamista a Stoccolma e la vittoria alle presidenziali del «globalista egualitario» Emmanuel Macron, lo abbiano convinto della necessità di compiere un atto violento.La versione combacia con le sue mosse. A settembre si trasferisce senza apparente motivo in Nuova Zelanda, dove sa di poter sfruttare la blanda normativa sul porto d’armi. Si mantiene – sostiene lui – con il denaro ricavato da un fortunato investimento in criptovaluta. Si rifugia nell’appartamento di Somerville Street, passa le notti alla Playstation a sparare ai nemici digitali di Fortnite. A dicembre acquista online dei fucili veri sul sito del Gun City Store. Siamo a gennaio del 2018, comincia l’auto-addestramento. Per un anno di fila al poligono del Bruce Rifle Club di Milton lo vedono venire ad allenarsi con un Ar-15 d’assalto e un fucile da caccia. A volte si ferma a dare una mano per sistemare il Club. «Sembrava un tipo davvero perbene», ti dicono ancora oggi al poligono.