la Repubblica, 23 marzo 2019
La lingua inventata nei lager di Tripoli
Hanno incontrato i loro aguzzini, e gli hanno dato un nome. Hanno visto dove potevano rimediare un lavoro, e a quel posto hanno dato un nome. Hanno scoperto dove le mogli erano costrette a prostituirsi, e a quei tuguri lerci hanno dato un nome. Hanno conosciuto l’orrore, e gli hanno dato un nome.
Nella tratta dei migranti, che dal centro dell’Africa conduce prima in Libia e poi in Italia, è nata una nuova lingua. Partorita dalla paura. Un glossario di poche, ma universali, parole.” Asma boys”,” chad place”,” aunty” e” cocseur”,” connection house”,” gari”, per citarne alcune: chiunque si sia messo in cammino, non importa se anglofono o francofono, istruito o ignorante, ne conosce il significato. Sa che gli asma boys vanno evitati come la peste, che le connection house sono luoghi di passaggio ma anche prigioni del sesso, che nel deserto l’unico cibo disponibile è la farina di cassava e i trafficanti la chiamano gari, che di una aunty (la zietta), non bisogna fidarsi mai perché dice di proteggerti e invece ti vende.
Come una sorta di nuovo Esperanto, la lingua globale e artificiale creata alla fine del diciannovesimo secolo. Ora lo si intravede nelle centinaia di testimonianze di uomini, donne e adolescenti raccolte e catalogate a bordo della Aquarius dagli operatori di Medici Senza Frontiere a partire dal luglio di tre anni fa. Storie atroci che all’Occidente fa assai comodo dimenticare, soprattutto quando la guardia costiera intercetta e riporta indietro chi fugge. E indietro ci sono gli asma boys.
Asma boys
Con la schiettezza della rassegnazione, i migranti dicono cose del tipo «gli asma boys mi hanno sequestrato», «gli asma boys mi hanno violentato a turno», «gli asma boys mi hanno rubato i soldi». Quelli di Medici senza frontiere non riuscivano a capire chi fossero, questi asma boys. «Il nome non corrispondeva a nessuna delle milizie libiche, né a gruppi criminali conosciuti», spiega Giorgia Linardi, che sull’Aquarius tra il 2016 e il 2017 ha passato mesi a intervistare persone recuperate in mare. «In realtà chiamano così tutti coloro che vogliono far loro del male. Asmar in arabo significa scuro... ma l’etimologia non è chiara».
Chiara invece è la minaccia che individua: stupratori, rapitori, carcerieri, miliziani, criminali. I cattivi, in ogni declinazione e a ogni latitudine, nel deserto, in Libia, in mare. Gli asma boys. Madhi, 17enne, gambiano, li descrive così: «Arrivano in gruppi di 8- 9 persone. Sono ubriachi e drogati. Vogliono le nostre donne, se provi a protestare ti accoltellano». Un diciottenne che era con lui: «Sono stato tenuto dagli asma boys in una stanza con 100 persone e una finestra sola. Il bagno era un recipiente di plastica nel mezzo alla stanza». Yusuf, 19enne della Sierra Leone, il ricordo degli asma boys ce l’ha ancora inciso sulle mani. «A Bani Walid mi davano scosse elettriche sulle dita con i cavi elettrici».
Connection house e Miya Miya
La tortura, in Libia, può non essere il peggiore dei destini. Puoi finire anche nelle connection house, prigioni- bordello spuntate sulla rotta della tratta. «Sono gestite da uomini nigeriani insieme ad alcuni arabi», spiega Fortunate, 25enne nigeriana.«All’inizio mi rifiutavo, ma mi pestarono e mi fecero quasi morire di fame. Ho accettato di fare sesso coi clienti, per 10- 20 dinari all’ora ( 6- 12 euro circa, ndr).
Mi hanno messo incinta, mi sono ammalata e ho abortito». Il sadismo dei lenoni oltrepassa l’umiliazione del corpo. I mariti spesso vengono forzati ad assistere allo stupro di gruppo delle mogli, e costretti a urlare «Miya miya!». Ecco un’altra espressione che si impara lungo il cammino: in dialetto arabo significa” cento per cento” e si usa per dire che tutto va bene. Anche quando niente va bene, come nelle connection house.
Chad place e Lapa Lapa
Raccontano anche di un non luogo, il chad place. Letteralmente, il posto chad. «Geograficamente cambia di volta in volta», spiega Giorgia Linardi, oggi portavoce della ong tedesca Sea- Watch. «Corrisponde al punto dove si radunano i migranti che offrono manodopera». Oggi è una rotonda, domani una strada trafficata, dopodomani chissà: Chad è una coordinata urbana, dove si incontrano offerta e domanda di lavoro da quattro soldi. Se ti va molto male, non ci trovi i padroni che ti fanno pulire casa, ci trovi gli asma boys.
Oppure incontri i cocseur, i facilitatori che con circa 1.200 dinari organizzano la traversata del Mediterraneo a bordo dei lapa lapa, cioè i gommoni. E non vai in mare, ti ci spingono. Dicono proprio così. «Mi hanno spinto (” pushed") in mare». Nell’Esperanto dei profughi, anche i verbi cambiano.