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 2019  marzo 23 Sabato calendario

Intervista a Bocelli, che ha cantato per Xi ma non per Trump

Nel 2012 il quotidiano China Daily scriveva di lui che «supera le barriere culturali con la potenza della sua voce». Ieri è stato proprio Andrea Bocelli, reduce da un doppio numero uno in classifica negli Usa e nel Regno Unito con l’album Sì, a cantare al Quirinale per gli invitati della cena in onore del presidente cinese Xi Jinping.

Come è arrivato l’invito?
«Direttamente dal Quirinale e siamo stati felici di accettare. Sono un patriota convinto e quando lo Stato chiama, ritengo mio dovere, oltre che un grande onore, rispondere affermativamente».
Quando ha conosciuto Xi Jinping?
«Non avevo ancora avuto il piacere di incontrarlo. Mi auguro che il breve concerto presso la seicentesca Cappella Paolina possa esprimere un momento di armonia e di bellezza. La grande musica d’altronde porta sempre con sé un forte messaggio di pace e di fratellanza».
Come ha scelto cosa eseguire durante l’esibizione?
«Un breve florilegio tratto dal repertorio italiano e non solo. O souverain da Le Cid di Massenet, un brano che amo molto, con cui peraltro ho aperto di recente un recital al Metropolitan di New York. Poi romanze popolari (da O’ sole mio a Mattinata), brani di Franz Schubert, Joaquín Rodrigo... E naturalmente di Giacomo Puccini».
Ricorda la sua prima esibizione in Cina?
«Probabilmente all’inizio degli anni 2000. Ci sono tornano poi più volte, ad esempio per l’inaugurazione dell’Expo 2010 a Shanghai. Nella tournée del 2011 Miracolo d’amore fu così tanta l’acclamazione delle migliaia di persone presenti che tornai sul palco per un bis non previsto del Nessun dorma».
Che ricordi ha della prima volta che si è esibito per un capo di stato?
«È un’esperienza che ho avuto il privilegio di vivere quasi fin dal principio della mia carriera. Ma l’emozione è la medesima, indipendentemente dal fatto che l’uditorio sia o meno blasonato. E quando riesco a entrare nel cuore di chi mi ascolta, ho raggiunto il mio scopo e sono felice. Ricordo tuttavia con grande emozione il primo invito, nel 2013, da parte del presidente Obama, alla National Prayer Breakfast, prestigioso evento annuale con i più influenti politici del pianeta riuniti per confrontarsi su solidarietà, sviluppo e promozione umana. Io fui invitato a esibirmi e a tenere un discorso che furono accolti con una triplice standing ovation. Fu molto emozionante, pensando da dove sono partito, essere lì e ricevere quell’apprezzamento. Sono tornato poi nel 2016».
A differenza dei suoi concerti, in questi eventi non ha davanti il suo pubblico. Come affronta la situazione? Ci sono mai stati momenti difficili?
«Possono essercene sempre, li metto in conto, motivati dalle condizioni vocali o magari da uno stato psicologico particolare. Ma mai dipendono dal pubblico, di per sé».
Putin, Clinton, Bush, Obama, ma per l’insediamento di Trump alla fine non si è esibito, perché? Per motivi politici?
«Il mio non è stato un “no” personale né tantomeno un “no” all’istituzione». (A Repubblica nel 2017 spiegò che dopo le polemiche per l’invito fu «investito da lettere minatorie e minacce. Ho ringraziato Trump ma ho declinato l’invito, onorarlo avrebbe nociuto sia a me che a lui», ndr) Lei è amatissimo dal pubblico americano: teme che cantare per il presidente cinese possa inimicarle parte del suo pubblico?
«Naturalmente no, assolutamente no: chi mi vuole bene, chi segue con benevolenza, sono certo abbia piacere nel sapere che anche il popolo cinese, e in questo caso il suo massimo rappresentante, mi conosca e, mi auguro, mi apprezzi».