il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2019
Duemila librerie chiuse in quattro anni
Si legge sempre poco; il mercato ha nuovamente subito uno stop – i valori erano tornati a quelli del 2011, prima della crisi, ma nel 2018 hanno fatto registrare il segno meno –, gli e-book non hanno sfondato e il numero delle case editrici continua a crescere (e pure quello dei libri stampati, persino troppi per gli esigui destinatari). Se prendessimo i dati di vendita o gli articoli sui giornali usciti negli ultimi anni, forse non avremmo di che aggiornare il dibattito. C’è, invece, una sostanziale differenza: secondo le ultime cifre diffuse dall’Istat, relative al 2016, la differenza sta nelle librerie. Non quelle appartenenti alle grandi catene editoriali, ma quelle di quartiere, spesso punti di riferimento per un ampio bacino di abitanti.
L’Istat ha certificato che, tra il 2012 e il 2016, ad acquistare un volume in librerie o in cartolerie indipendenti è stato l’11% in meno della popolazione. Dato che, se al Nord-ovest scende al 7,9%, al Sud supera addirittura il 17. Non è un caso se, nel periodo preso in esame, molti esercizi – ben 2.038: si è passati dalle 17.314 del 2012 alle 15.276 del 2016 – hanno chiuso e se la forza lavoro è diminuita di 4.162 unità, pari al 12,5%. “Siamo certi – fa sapere Paolo Ambrosini, presidente dell’Associazione Librai che fa capo a Confcommercio – che questi numeri già di per sé impietosi non sono sufficientemente rappresentativi della sofferenza e delle difficoltà delle librerie e cartolibrerie italiane, che anno dopo anno hanno subito un’aggressione continua da parte di operatori che, agevolati da condizioni normative e di mercato, hanno messo a rischio di tenuta la prima infrastruttura di distribuzione del libro in Italia”.
Già poco dopo il suo insediamento, i librai avevano chiesto al ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, un impegno concreto per salvaguardare la filiera. Ma il ministro, che a suo tempo aveva ipotizzato un decreto legge urgente, interpellato dal Fatto adesso frena: “Rispetto il ruolo del Parlamento, che non deve trovarsi oberato di decreti. Però ho raccolto l’appello e mi sto muovendo: gli spunti venuti fuori dai tavoli congiunti che abbiamo finalmente realizzato (con editori, librai, distributori e persino piattaforme on line come Amazon, ndr) sono stati portati alla commissione Cultura della Camera, dove si discute la futura legge per il libro. Auspico la condivisione di linee guida comuni che possano portare a una rapida approvazione del disegno di legge. Sono fiducioso che ciò avverrà entro la fine del 2020”.
E nel frattempo? Il rapporto dell’Associazione italiana editori (Aie), diffuso poco prima di Natale e relativo al 2017, conferma che le librerie – tutte, quelle di catena e quelle a conduzione familiare – rappresentano sempre il principale canale di approvvigionamento di libri, con il 70,8% della quota, mentre gli store online (leggi soprattutto Amazon) valgono il 21,5% del mercato della “varia”. Se paragoniamo questi dati a quelli del 2007, in cui l’e-commerce di libri (esclusi gli e-book) valeva il 3,5% e le librerie il 79, capiamo che gli italiani sono sempre più orientati ad acquistare su Internet, come per gli altri oggetti “di consumo”. Qualcuno può dire: “È il progresso, bellezza!”. Ma siamo così sicuri che la graduale sparizione degli “intermediari” librai sia un processo ineludibile e un vantaggio per i lettori, almeno in termini di scontistica (dal momento che le “grandi” applicano promozioni che le “piccole” non si possono permettere)? “La distinzione tra grandi catene e indipendenti non regge molto – sostiene il presidente dell’Aie, Ricardo Franco Levi, che ha dato il suo nome proprio alla legge sul prezzo dei libri –. Se guarda i bilanci dei grandi gruppi, la parte relativa alla libreria non è quella più florida. Però è vero che, all’interno della legge, i due elementi che hanno funzionato meno sono i controlli e le promozioni. Noi editori siamo d’accordo sulla necessità di riportare ordine”. Secondo Levi, il problema è però più ampio. “Dopo due anni buoni, per il mercato del libro il 2018 si è chiuso con un -0,4%, in parallelo al rallentamento dell’economia generale. E, considerando che non si vedono segni di recupero a breve termine, siamo molto preoccupati”. Che fare, dunque? “Sul lungo periodo – prosegue – bisogna mettere in atto politiche di sostegno alla lettura, perché, se è vero che assistiamo a una contrazione del mercato in tutta Europa, restiamo tra gli ultimi quanto a numero di lettori. Sul breve termine, invece, si può incidere attraverso due elementi: il sostegno alla domanda, con il rinnovo – anche con formule diverse – dell’App18, che consente ai ragazzi di acquistare libri e cultura; e l’aiuto ai soggetti più fragili, piccoli librai e piccoli editori, che fino a poco fa potevano godere di uno sgravio delle imposte sul reddito e di quelle locali. L’ultima legge di Bilancio ha ridotto drasticamente – 1,5 milioni di euro – questo sostegno”.