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 2019  marzo 23 Sabato calendario

Calcio e plusvalenze sospette

Gianluca Mancini è una bozza di campione. Classe ’96, toscano di Pontedera, difensore robusto, molto alto, è un metro e novanta, marcature grintose, stacco di testa, già sei reti in trentadue presenze in Serie A. S’ispira a Marco Materazzi. In onore di “Matrix”, all’Atalanta indossa la maglia numero 23. Roberto, l’altro Mancini, l’ha convocato in Nazionale. La Roma l’ha prenotato per il prossimo campionato, per una cifra che oscilla tra i 20 e i 25 milioni di euro. Sul retropalco, lì dove la retorica del pallone non attecchisce, Gianluca è protagonista involontario di un contenzioso tra Fiorentina, Atalanta e Perugia. Il club della famiglia Della Valle, che l’ha allevato nelle giovanili, ha incassato soltanto 100.000 euro nel 2017 dal cartellino di Mancini. Gianluca era di proprietà del Perugia, ma la Viola vantava il diritto al cinquanta per cento dei ricavi dalla cessione del calciatore. Massimiliano Santopadre, il patron del Grifo, per l’appunto nel gennaio 2017, gira Mancini all’Atalanta per 200.000 euro e, dopo un paio di settimane, pure il figlio Alessandro, un portiere ancora non sbocciato, per un milione. “Vendita simulata: i soldi veri per Mancini caricati sul prezzo di Santopadre”, così la Fiorentina denuncia Perugia e Atalanta in Figc. Respinti dai tribunali sportivi della sezione disciplinare, adesso i Viola aspettano il secondo grado della sezione vertenze economiche e preparano il ricorso al Tar del Lazio. I Della Valle pretendono un risarcimento di 425.000 euro.
Il caso di Mancini, a sua insaputa, è la summa dei difetti del calcio d’Italia: regole troppo fragili, autorità federali inermi, faide tra club per sopravvivere, sete di plusvalenze per aggiustare i bilanci. Allora tocca raccontare la vicenda dal 12 gennaio 2017, in quel periodo d’inverno che le società sfruttano per rimediare agli errori estivi e dunque chiamano mercato di riparazione. Mancini è al secondo campionato al Perugia, in Serie B. Dopo una stagione in prestito e la solita scarsa pazienza con i ragazzi, la Fiorentina regala Gianluca agli umbri con la garanzia del cinquanta per cento in futuro. Gli osservatori dell’Atalanta tampinano da tempo il difensore col 23 sulle spalle e firmano un affare: 200.000 euro, la metà va ai Viola, e 300.000 di eventuali bonus. Il 23 gennaio, mentre sta per chiudere la finestra del mercato invernale, l’Atalanta ha urgenza di acquistare un portiere. E l’occasione, coincidenza, s’affaccia da Perugia: Alessandro Santopadre (’98), una trentina di partite in Primavera, viene prelevato per un milione di euro e subito rientra in prestito in Umbria, dove completa la stagione 2016/17 e anche la 2017/18 senza mai scendere in campo, tranne una decina di amichevoli.
Più esilaranti le dichiarazioni dei vertici di Atalanta e Perugia e dei calciatori Mancini e Santopadre interrogati dalla Procura della Figc. Luca Percassi, figlio del patron e amministratore delegato dell’Atalanta, afferma che non si occupa di mercato e che ha conosciuto quasi per caso il collega Santopadre. Giovanni Sartori, direttore sportivo dei bergamaschi, sostiene che il prezzo di Santopadre figlio è congruo e che c’era una carenza di portieri. Però non l’hanno mai utilizzato. Il difensore Mancini non commenta, spiega che s’era interessato all’ingaggio, passato da 60.000 a 160.000 euro.
Il portiere Santopadre riferisce che la trattativa con l’Atalanta l’ha seguita il padre Massimiliano e che ha accettato di buon grado uno stipendio di 14.000 euro all’anno, minimo federale per un calciatore professionista, anche se il suo cartellino è stato pagato un milione.
Il compenso al Perugia, cioè dal padre, era un rimborso mensile di circa 500 euro. Il presidente Santopadre ribadisce che il figlio ha “ottime potenzialità”. Oggi Alessandro, sempre in prestito dall’Atalanta, gioca per la Paganese (14 gare), squadra ultima in classifica nel girone meridionale della Terza serie.
Il procuratore federale Pecoraro ha deferito l’Atalanta e il Perugia, ma i giudici sportivi hanno negato la condanna perché, nonostante periti, contratti e precedenti, “non esistono criteri oggettivi e imparziali per una valutazione di mercato dei calciatori”. Ognuno li paga come gli pare e ognuno s’accorda con chi gli pare. E il calcio, forse un po’ sconsolato, di sicuro più insalubre, procede a passo svelto verso il precipizio con 4 miliardi di euro di debiti e 749 milioni di plusvalenze non proprio solide nei bilanci.