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 2019  marzo 23 Sabato calendario

Storia della corruzione

«Non chiederti mai – recita l’Ecclesiaste – perché i vecchi tempi fossero migliori di quella attuali, perché è una domanda cretina». Da che mondo è mondo, la tentazione di inventarsi una mitica età dell’oro, e comunque un passato più accattivante del presente, ha sempre insidiato anche le menti più accorte. E anche se la saggezza biblica ci mette in guarda da simili ingenuità infantili, ancor oggi cadiamo nella trappola di sentirci protagonisti di una stagione infelice, e di invocare con nostalgica noncuranza i bei tempi andati: quando c’erano i valori, e soprattutto i politici erano onesti; quando non c’erano la corruzione, le malversazioni e i brogli elettorali e cittadini, almeno nelle democrazie, contribuivano onestamente al comune benessere, se non proprio pagando le tasse, almeno evitando di frodare lo Stato.

GLI ESEMPI
E invece non era affatto così. Nelle satrapie orientali il potere assoluto del sovrano eludeva il problema: la sua volontà e il suo capriccio erano legge, e gli illeciti arricchimenti privati si limitavano agli affarismi dei funzionari regali che il sovrano puniva con esecuzioni sommarie, e spesso crudeli. Al contrario, nelle democrazie di Atene e di Roma questi fatti emergevano – quando emergevano durante il dibattito politico o nelle aule giudiziarie. Quanto agli esempi, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.
Nel 403 a.c Lisia, il miglior avvocato ateniese, difende un falso invalido. Si tratta di un tizio accusato di aver riscosso indebitamente sussidi dallo Stato, inventandosi una malattia e accampando una condizione di indigenza: insomma, una via di mezzo tra la pensione di invalidità e il reddito di cittadinanza. L’accusa sostiene che il truffatore monta a cavallo (oggi diremmo: un cieco con la patente) e lavora in nero. Lisia ribatte che il ronzino non è dell’imputato, e gli serve per spostamenti modesti; quanto ai piccoli introiti, gli sono appena sufficienti per farlo sopravvivere. Non sappiamo con certezza l’esito del processo, ma pare si sia concluso con un’assoluzione. I critici si chiesero come il cliente avesse fatto a pagare la parcella di Lisia, notoriamente salata. È una domanda che ci facciamo anche oggi per alcuni imputati nullatenenti.
Neanche lo sport era esente da questa piaga. Pausania ci racconta della pessima abitudine degli atleti (e dei loro sponsor) di pagare i giudici di gara per alterare le classifiche, o addirittura gli avversari per truccare le gare. Per contrastare il fenomeno furono previste multe salate, i cui proventi servivano a costruire statue espiatorie (le Zanes di Olimpia) recanti il nome del colpevole, a sua eterna vergogna e a solenne monito per eventuali malandrini. Ma l’intimidazione non dovette funzionare troppo bene, se il loro numero arrivò in breve a oltre duecento. Poi l’esperimento si concluse, non perché il mondo dello sport fosse diventato più onesto, ma perché si era fatto più abile e malizioso.

LA MISTOFORÌA
Ed ora i finanziamenti dei partiti. Pericle aveva introdotto la mistoforìa, cioè la retribuzione per la cariche pubbliche, al fine di consentirne l’accesso anche a chi non godeva di rendite proprie. Ma il provvedimento, pur ispirato da intenzioni democratiche, si rivelò un disastro: molti videro nella politica un mestiere, e da lì alla compravendita di voti il passo fu breve. La corruzione dilagò fino alle cariche giudiziarie, e contribui non poco alla decadenza della Grecia davanti alle solide e rudi falangi macedoni e successivamente alle disciplinate legioni romane.
Ma neanche Roma si sottrasse ai fenomeni che oggi ci sembrano tanto originali. Quinto Cicerone, fratello del più famoso Marco Tullio, nel suo Manuale del candidato esaltò l’utilità dei banchetti elettorali, offerti al popolo per raccattar consensi. Lo scrupoloso Catone ammonì che non è serio attirarsi i favori con il cibo, e il giudizio degli elettori non deve esser corrotto dai piaceri. Ma furono parole al vento, e il fenomeno si consolidò, al punto che persino Tacito mostrò una sorta di rassegnata comprensione. Il voto di scambio non è stato inventato da Achille Lauro e dalle sue eccentriche iniziative di regalare in due tempi le scarpe spaiate.
Quanto alla corruzione, i romani ne estesero i confini con raffinate fantasie. Noi conosciamo le malversazioni di Verre, che aveva spogliato la Sicilia e i suoi abitanti con metodica accuratezza, perché il rapace governatore aveva superato ogni limite. Cicerone (Marco Tullio) raccolse prove sufficienti per spedirlo in esilio, e sfruttò la fama ottenuta come pubblico ministero per iniziare una brillante carriera politica: un esempio imitato di recente da una schiera di nostri magistrati. Quanto al conflitto di interessi, il nostro ineffabile oratore fece anche di più. Il console Lucio Murena era stato infatti accusato di brogli elettorali in base alla legge Tullia, promossa proprio da Cicerone. Il disinvolto avvocato, nella sua brillante difesa, diede un’interpretazione autentica della norma da lui costruita e fece assolvere il suo cliente. Nulla di nuovo sotto il sole.

IL GIUSTIZIALISMO
Quanto alle leggi ad personam, per favorire o danneggiare l’avversario politico, Tacito era così nauseato che coniò la famosa frase corruptissima re publica plurimae leges, per indicare l’iperproduzione normativa determinata da interessi contingenti. Ma Tacito, maestro di sintetici e geniali jeux de mots intendeva anche un’altra cosa: che il numero delle leggi, rendendole di fatto inapplicabili, alimenta la corruzione. Anche questa non è novità. Come commenteremo questo breve ma significativo affresco dei più tradizionali vizi delle democrazie? Nel modo più ragionevole: evitando la determinazione inflessibile che ci rende fanatici e la rassegnazione codarda che ci rende inerti. Il fatto che la corruzione – e i suoi derivati costituisca un grave danno sociale non deve ispirarci atteggiamenti di esasperato giustizialismo, invocando drastici rimedi quasi sempre inutili e spesso dannosi.
D’altro canto, il suo consolidato radicamento nell’animo umano non deve indurci a una sconsolata rassegnazione sulla sua ineluttabile tentacolarità. La corruzione è come la superstizione, che esisteva ai tempi degli stregoni e fiorisce ancora oggi, in pieno positivismo scientifico, con maghi, chiromanti e guaritori. Sono fenomeni che non si possono estirpare, ma si possono controllare: non con i ceppi o i roghi, ma con l’educazione, il raziocinio e il buon esempio. Cominciando con la riflessione che l’onestà non è soltanto doverosa ma anche utile, perché rispettando i diritti altrui anche i nostri verrebbero, di riflesso, tutelati. E che il rispetto delle regole, da parte dei governanti e dei governati, ci faciliterebbe di molto la vita, e quasi ce la renderebbe piacevole.