Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 23 Sabato calendario

Riccardo Muti: «Nuova Via della Seta? L’incontro fra civiltà è sempre positivo. Ma senza sopraffazioni»

Riccardo Muti, direttore d’orchestra, è nato a Napoli.
Il direttore Riccardo Muti è appena rientrato dagli Stati Uniti. Ieri era a Ravenna per un pit stop. Ma ha già pronte le valigie per Tokyo dove fa debuttare l’Italian Opera Academy. È il master per direttori d’orchestra che tiene ogni luglio a Ravenna con l’Orchestra Cherubini, la «soddisfazione di questi miei anni», confessa. Non conosce sosta Muti, 77 anni, di cui 19 spesi alla Scala, 34 in America fra Chicago e Philadelphia, ospite fisso dei maggiori complessi d’Europa, dai Berliner (torna a dirigerli in aprile) ai Wiener Philharmoniker, in cima al suo portfolio da 49 anni.
Parte per l’Oriente in giorni in cui è vivo il dibattito sulla nuova Via della Seta. Cosa pensa dell’apertura al colosso cinese?
«Io non sono politico, quindi non entro nel merito. Credo però che l’Oriente sia un mondo che non possiamo ignorare, anzi dovremmo mantenere rapporti profondi. È fondamentale un’intesa culturale che tra l’altro trascina con sé anche altri aspetti, compreso quello economico».
Da decenni viaggia in Oriente. Cosa la intriga di questo mondo?
«Con la Filarmonica di Chicago sono appena stato in Cina, Giappone, Corea e Taiwan. Sono Paesi all’avanguardia, in fibrillazione, hanno sale da concerto meravigliose che tra l’altro vedo decuplicare. Vogliono conoscere la nostra cultura. Sanno che l’integrazione, termine che preferisco a globalizzazione, è inevitabile: il futuro va in questa direzione».
E i cinesi l’hanno capito benissimo...
«Sanno che per entrare nel mondo occidentale, per avviare un dialogo, bisogna passare attraverso la nostra cultura».
E come l’avvicinano?
«Con sapienza e rispetto. Un tempo, il pubblico seguiva i concerti con timore reverenziale. Ora non teme di dimostrare entusiasmo, però è sempre rispettoso».
Quindi nessuna paura di sopraffazioni?
«Lì si vede un crescendo d’entusiasmo, da noi è come se ci si cullasse sugli allori, c’è una situazione d’abbandono. È questo il pericolo, ed un peccato. Peccato perché noi, Grecia, Egitto siamo considerati in Cina i popoli millenari e per questo affini alla loro civiltà millenaria».
Anche il mondo arabo è intrigato dalla vecchia Europa.
«Il Qatar da anni ha la sua Orchestra sinfonica. Sono stato negli Emirati e in Oman dove c’è un sultano appassionato di organo e che ha voluto un teatro d’opera. Attraverso la musica si raggiungono risultati più felicemente e facilmente che percorrendo vie diplomatiche. La musica è un veicolo formidabile».
Quindi come ha letto il «gran rifiuto» della Scala a una collaborazione con l’Arabia Saudita?
«Sono appena rientrato da Chicago. Oltre oceano questa notizia non ha avuto rilievo. Cosa che mi dispiace, perché vedo che le questioni dell’Orchestra di Chicago in sciopero appaiono su tutti i giornali del mondo, mentre le nostre no. Un brutto segnale dunque. Un aspetto che mi ferisce».
Però tramite testate italiane che idea si è fatto della faccenda?
«Il mondo deve comunicare attraverso la cultura. Solo l’incontro delle culture porta alla comprensione e quindi alla pacificazione. Basta che non ci mettiamo nelle condizioni di esserne poi schiavi».
La prossima settimana sarà a Tokyo. In un Paese dove ha ricevuto il Premio Imperiale, dove c’è pure una «Camerata Muti»...
«... e mi aspettano sempre con una bandiera italiana lunghissima e ogni volta che sono lì mi fanno scrivere l’occasione, più la firma».
Insegnerà ai giovani direttori come si dirige il repertorio italiano, nel caso specifico: Giuseppe Verdi.
«È una questione etica, oltre che artistica. Voglio far capire ai giovani che non devono rispettare solo Mozart o Wagner, ma anche i nostri italiani. Se alteri Mozart è una dissacrazione, mentre nel repertorio italiano ne fanno di tutti colori. La nostra opera non è intrattenimento, ma è opera-pensiero. Di recente, in un importante teatro ho assistito a due spettacoli di opera italiana. Tutte e due le volte me ne sono andato al secondo atto. Era un insulto alla nostra cultura».
Il 28 maggio sarà a Firenze, il 25 e 26 a Pavia per il Festival di musica sacra della Scala. Sarà alla testa della Cherubini. Non aveva valutato la possibilità di guidare i complessi scaligeri?
«No, ho voluto portare la Cherubini perché questi ragazzi mi danno tante soddisfazioni. Quando ho tempo libero lo dedico a loro. In questa orchestra sono passati 700 ragazzi, e tanti lavorano nelle orchestre di tutto il mondo, alcuni sono prime parti. La Cherubini lavorerà con il Coro della Radio Bavarese, lo stesso che dirigo a Baden Baden con i Berliner. Mi fa piacere che i miei ragazzi possano fare questa esperienza. Mi spiace però per tutti i diplomati dei conservatori italiani che non trovano lavoro. Sento che vi sono blocchi nelle assunzioni: è un errore. Non ha senso formare talenti e poi farne dei disoccupati».
Il prossimo Viaggio dell’Amicizia sarà ad Atene con la Nona Sinfonia di Beethoven. Il tutto in un’Europa di sovranismi e scissioni...
«La democrazia è nata ad Atene. Il termine Europa è greco. Senza i Greci la cultura occidentale non esisterebbe. Quando appresi della possibilità di un’uscita della Grecia dall’Europa tremai al solo pensiero».