23 marzo 2019
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Biografia di Jair Bolsonaro
Jair Bolsonaro (Jair Messias B.), nato a Glicério (San Paolo, Brasile) il 21 marzo 1955 (64 anni). Politico. Presidente del Brasile (dal 1° gennaio 2019). Già deputato federale (1991-2019). Militare. Ex capitano dell’esercito brasiliano (1973-1988) • Robuste ascendenze italiane: toscane per parte materna; venete e calabresi, ma anche tedesche, per parte paterna. «Il suo bisnonno arrivò in Brasile a 10 anni nel 1888 da Anguillara Veneta, provincia di Padova. Si chiamava in realtà Bolzonaro, ma al momento dello sbarco lo trascrissero in base alla pronuncia veneta con cui i funzionari lo avevano ascoltato» (Maurizio Stefanini) • Terzo dei sei figli di un dentista dilettante – poi reinventatosi odontotecnico – e di una casalinga, trascorse un’infanzia e un’adolescenza semplici e modeste: oltre a studiare e a dilettarsi tra sport, caccia e pesca, collaborava col padre alla realizzazione di protesi dentarie, e racimolava i primi guadagni estraendo il cuore delle palme (il palmito, termine che divenne presto il suo soprannome) e andando in cerca d’oro. A partire dal 1973, «Bolsonaro ha vissuto la parte più importante della sua formazione nei ranghi dell’esercito brasiliano, frequentando la prestigiosa e antica Academia Militar des Agulhas Negras, da cui uscì laureato nel 1977. Erano gli anni in cui il regime militare instaurato in Brasile nel 1964 portò al punto massimo la sua presa sul Paese e sulla popolazione. La propaganda della dittatura, guidata negli anni Settanta da Emílio Médici ed Ernesto Geisel, celebrava la crescita dell’economia del Paese mentre, nel frattempo, i dissidenti venivano imprigionati e torturati a migliaia. […] Nel 1979 João Figueiredo, succeduto a Geisel, firmò una legge d’amnistia per i crimini politici commessi dal 1964 in avanti; sei anni dopo, il Brasile, oberato da un debito di 90 miliardi di dollari e da una serie di manifestazioni e scioperi, conobbe la sua transizione democratica nelle prime elezioni presidenziali libere dopo decenni. In questo clima agitato Bolsonaro, che servendo nei paracadutisti e nell’artiglieria aveva raggiunto il grado di capitano, ebbe modo di farsi conoscere» (Andrea Muratore). «Nel 1988 è cacciato dall’esercito, dopo essere stato anche in carcere. Protestando contro gli stipendi troppo bassi si è infatti messo prima a scrivere articoli sulla rivista Veja, in flagrante violazione della disciplina militare; poi a minacciare di far scoppiare bombe a basso potenziale nei gabinetti delle caserme. Ma nel 1985 è finito il regime militare, e raccogliendo un voto nostalgico nel 1988 è eletto consigliere comunale a Rio de Janeiro» (Stefanini). «Entrato in politica nel Partito cristiano-democratico di posizioni fortemente conservatici, ma da allora in avanti pellegrino tra diverse formazioni della destra brasiliana, Bolsonaro fu eletto per la prima volta in Parlamento nel 1991 a Rio de Janeiro. […] Nel corso della sua carriera parlamentare a Brasilia, Bolsonaro è stato in continuazione la voce più dura e drastica dell’emiciclo: celebri sono stati i suoi interventi in difesa dell’operato del regime militare, le proposte per la reintroduzione della pena di morte abolita nel 1988, l’invocazione di una politica law and order contro il crimine endemico in Brasile, proposte choc come quella del 2008 per la risoluzione del problema della povertà attraverso la sterilizzazione degli indigenti. A lungo considerato un personaggio folcloristico dai colleghi, Bolsonaro ha visto trasformate in leggi dello Stato solo due delle 173 proposte presentate in Parlamento nei suoi 27 anni di attività parlamentare. Nel 2014 la sua rielezione come deputato più votato di Rio de Janeiro con 464 mila voti era sembrata la vetta più alta raggiungibile nella sua carriera politica, ma da allora in avanti Bolsonaro è diventato una figura centrale nella politica brasiliana. A favorirne l’ascesa sono state la progressiva delegittimazione della classe dirigente del Paese e la sua abilità nel compattare un blocco sociale e politico in suo sostegno in un tempo relativamente breve» (Muratore). «Il suo trampolino di lancio è stato il caso del cosiddetto “kit gay”. Un opuscolo che il ministero dell’Istruzione del governo di Dilma Rousseff voleva diffondere nelle scuole di tutto il Paese per combattere l’omofobia, e che invece Bolsonaro ha accusato di “stimolare l’omosessualità e la promiscuità”. Una battaglia portata avanti con durezza, com’è nel suo stile, e che ha vinto grazie a una formidabile campagna di mobilitazione popolare, forzando il governo a ritirare il libello dalla circolazione. Da quel momento è diventato l’idolo del Brasile conservatore: quell’ampia fetta di elettorato che va dagli evangelici fino agli esponenti delle Forze armate, passando per i fazendeiros, gli imprenditori e tutti quei cittadini esasperati dall’endemica violenza urbana e dalla corruzione che sembra irrefrenabile» (Carlo Cauti). «Nel 2015 Bolsonaro augura a Dilma Rousseff di morire “di infarto o cancro”. Il suo voto all’impeachment della stessa Dilma lo dedica alla memoria di Carlos Alberto Brilhante Ustra, il generale appena defunto che aveva diretto le torture alla futura presidentessa quando lei era prigioniera come guerrigliera» (Stefanini). «Nel 2018, Bolsonaro è assurto agli onori della cronaca dopo la decisione di entrare nel Partito social-liberale come candidato alla presidenza di un Brasile in pieno caos: […] l’impeachment velato da trame golpiste della presidentessa Dilma Rousseff, la completa delegittimazione del successore Michel Temer […] e, soprattutto, l’aumento esponenziale della criminalità che ha portato il numero annuo di omicidi a circa 60 mila hanno spianato una vera e propria autostrada per il tribuno di destra. Per la prima volta nella sua carriera politica, Bolsonaro ha proposto in occasione della sua corsa alla presidenza un’agenda includente al suo interno proposte di riforma economica di spiccata matrice neoliberista: tagli alla spesa pubblica, riforme fiscali, deregulation in diversi settori dell’economia. La triade formata da sicurezza, liberismo economico e conservatorismo sociale, molto spesso marcato da frasi oscene verso le minoranze, ha attratto su Bolsonaro il consenso di una nuova forza politica del Paese: l’elettorato evangelico e pentecostale» (Muratore). «All’inizio Bolsonaro non arrivava al 10 per cento delle intenzioni di voto. Ma la Tangentopoli brasiliana, dopo aver deposto Dilma Rousseff e aver mandato in galera Lula, investe i partiti centristi al governo con Michel Temer ed esaspera gli elettori. […] Come Trump ha sconvolto le regole del gioco a colpi di tweet, Bolsonaro ha dalla sua WhatsApp, usata dai tre quinti dei brasiliani, e su cui i suoi seguaci imperversano. Poi, il 6 settembre, un quarantenne che sulla sua pagina Facebook inneggia a Maduro e Lula gli dà una coltellata. Bolsonaro deve sospendere la campagna, ma l’effetto è più potente di mille comizi. Dal 22 per cento delle intenzioni di voto salta al 26, al 28, al 32, contro il 21-22 per cento appena di Fernando Haddad: colui che il Partito dei lavoratori (Pt) ha con molto ritardo prescelto, quando i magistrati hanno infine detto definitivamente “no” alla candidatura di Lula dal carcere» (Stefanini). Attestatosi nel primo turno elettorale (7 ottobre 2018) al 46,03% dei consensi, a fronte del 29,28% ottenuto da Haddad, Bolsonaro vinse nettamente al secondo turno (21 ottobre). «57.797.416 voti per Jair Bolsonaro, il 55,13 per cento; 47.040.380 voti per Fernando Haddad, il 44,87 per cento. E così Jair Bolsonaro è diventato il 38esimo presidente del Brasile. Il nono della Terza Repubblica, il quinto eletto a suffragio popolare diretto da quando fu reintrodotto; il secondo di origine italiana dopo Emílio Garrastazu Médici. […] Haddad è riuscito solo a rimontare metà del distacco, e anche a far rettificare a Bolsonaro alcune delle sue posizioni più estreme. Per la verità, qualcuna l’aveva già aggiustata. Così, dopo aver detto nel 2011 in una intervista a Playboy che se avesse avuto un figlio gay avrebbe preferito vederlo morire in un incidente, ha ora detto che non ha niente contro gli omosessuali, e si è fatto anche un selfie con una simpatizzante lesbica. Dopo aver pure detto che non avrebbe mai voluto i suoi figli sposati con negre, ha esibito l’elezione di un deputato nero del suo partito ed ha respinto via Twitter l’endorsement di un suprematista Usa. Dopo aver detto a una deputata che “non meritava di venire stuprata” e che dopo quattro figli maschi aveva avuto una femmina “in un momento di debolezza”, ha fatto un video con questa stessa figlia, iniziando a lodare il ruolo delle donne nella vita. E dopo il primo turno ha firmato un documento in cui si impegna a rispettare la Costituzione. Nell’ultimissima conferenza stampa prima del voto ha ribadito rispetto per i gay, ha promesso che non ci saranno né guerra in Venezuela né corsa al riarmo, e si è soprattutto impegnato sul fronte ambientalista. Niente ritiro del Brasile dall’Accordo di Parigi; rispetto per Amazzonia e terre indigene; rinuncia all’accorpamento tra i ministero dell’Ambiente e dell’Agricoltura. Bolsonaro è più a destra di qualsiasi altro presidente latinoamericano, nonostante abbiano scelto leader più conservatori anche gli elettori di Argentina, Cile, Perù, Paraguay e Colombia. […] Il nuovo leader brasiliano ha subito incassato, infatti, gli auguri di Matteo Salvini, che ha ribadito su Twitter che uno dei primi atti che l’Italia intende fare nei confronti del Brasile sarà quello di richiedere l’immediata estradizione dell’ex leader dei Proletari armati per il comunismo Cesare Battisti, condannato a diversi ergastoli in Italia. Bolsonaro in un video ha risposto alla lettera di appoggio inviata dal vicepremier italiano: "Grazie, se vinco vi faccio un regalo: vi rimando Battisti". Significativamente, il suo primo discorso dopo la vittoria lo ha fatto con dietro un enorme simpatizzante di colore, e al fianco una “interprete” che traduceva in linguaggio dei segni per non udenti. Come a dire: un presidente anche per neri e disabili. “Saremo un governo decente, dedito al Paese e al nostro popolo”, ha detto. "Credo nella capacità del popolo brasiliano che lavora in forma onesta di costruire assieme un futuro migliore”. Ma ha soprattutto promesso di tagliare la burocrazia. “Le persone vivono nei municipi, dunque le risorse andranno direttamente agli Stati e ai municipi”. “Abbiamo bisogno di più Brasile e meno Brasilia”. Insomma, ha parlato più da Reagan che da Trump brasiliano. Resta la denuncia di Laura Chinchilla, ex presidente del Costa Rica e capo della missione dell’Organizzazione degli Stati Americani. Secondo lei, in queste elezioni grazie a WhatsApp la diffusione di fake news ha raggiunto un livello che non si era mi visto in una democrazia. “C’era stato il precedente degli Stati Uniti, ma lì si erano usate reti pubbliche, che fino a un certo punto possono essere sottoposte a controlli, impossibili in reti private come WhatsApp”» (Stefanini). Il 1° gennaio 2019, l’insediamento ufficiale. «“È il giorno in cui il Brasile inizia a liberarsi dal socialismo e dal politicamente corretto. La nostra bandiera non sarà mai rossa, e resterà verde-oro anche se fosse necessario versare il nostro sangue!”. Jair Bolsonaro si insedia alla presidenza del Brasile, […] ma non sposta di una virgola il suo discorso duro e di svolta radicale verso destra. Nei due discorsi pronunciati durante la lunga giornata tra i palazzi modernisti di Brasilia c’è anche l’impegno a governare “senza discriminazioni”, rispettare la democrazia e la Costituzione; così come l’ex militare evita infine di promettere esilio o morte a chi non è d’accordo (come ha fatto più volte in campagna elettorale). Ma, anche con queste rassicurazioni, quel che emerge dalle prime frasi pronunciate da capo di Stato è ribadire l’immagine di un Paese dove le priorità sono ora radicalmente diverse da quelle seguite dai suoi predecessori. Non sono la povertà diffusa o le diseguaglianze sociali (termini mai pronunciati) i problemi principali del Brasile, ma “restaurare i princìpi della Patria e riscattare le nostre origini giudaico-cristiane”, combattendo le ideologie. Con l’aiuto di Dio (nominato invece una decina di volte), colui che ha voluto questo finale, “perché ha salvato la mia vita” e da quel momento “un movimento civico ha conquistato le piazze per reagire all’esistente”. […] Nella simbologia del primo giorno di potere c’è ancora tutto il Bolsonaro radicale, trent’anni in Parlamento passati a difendere le forze armate e accusando la sinistra di corrompere i bambini. Dai saluti militari ai toni da caserma nel giuramento del suo vice, il generale Hamilton Mourão. Sulla Rolls Royce scoperta saluta la folla che lo acclama come “mito” e cantando “È arrivato il Capitano!”. Sceglie di far salire sull’auto, oltre alla moglie Michelle, solamente il figlio Carlos, il meno rilevante politicamente dei suoi tre eredi, ma colui che ha creato la campagna elettorale sui social network, fake news comprese. […] Bolsonaro ribadisce che verrà liberalizzato il possesso di armi per la difesa personale, mentre è finita l’epoca dove “si giustifica il bandito, attaccando il poliziotto”. Il Brasile dovrà rivedere radicalmente il settore dell’educazione, “perché i nostri figli dovranno essere preparati al mercato del lavoro e non alla militanza politica”. Scarsi gli accenni ai programmi in economia, tema sul quale Bolsonaro ha più volte ammesso di non capirci niente, delegando tutto al suo super-ministro liberista Paulo Guedes. Verrà applicato con rigore un controllo della spesa, i princìpi del libero mercato avranno priorità assoluta, anche nel settore dell’agricoltura, dove i proprietari terrieri avranno meno lacci derivati dalla difesa dell’ambiente. Non aveva nemmeno finito di parlare Bolsonaro, quando è arrivato il primo tweet di appoggio di Donald Trump (“Grande discorso: gli Stati Uniti sono con te”)» (Rocco Cotroneo) • «Il trionfo elettorale di un personaggio discutibile e discusso come Jair Bolsonaro è stata una pessima notizia non soltanto per il Brasile, ma anche per l’America Latina tutta e, probabilmente, per il mondo intero. Oltretutto, dopo la vittoria dell’ex capitano dei paracadutisti nostalgico delle giunte militari, va registrato un primo aspetto inquietante di questa presidenza: la “promozione” di Sérgio Moro. E pensare che il magistrato Moro, all’epoca in cui dava la caccia all’ex presidente del Brasile Inácio Lula da Silva e, successivamente, a Dilma Rousseff, così aveva risposto, ad un giornalista del quotidiano Estado de São Paulo che gli chiedeva se avesse in progetto di entrare in Parlamento: “La mia missione è combattere la corruzione che domina la vita politica brasiliana: non avrebbe senso passare dall’altra parte”. Poi la Rousseff è stata destituita, Lula è andato in prigione, […] Bolsonaro ha vinto le elezioni presidenziali e Moro si è ricreduto. Il nuovo presidente gli ha offerto il ministero della Giustizia, e il magistrato ha detto immediatamente di sì: “Ho accettato questo incarico perché mi è stato assicurato che la lotta alla corruzione e al crimine organizzato sarà un elemento centrale del programma del nuovo esecutivo” è stata la sua motivazione» (Paolo Mieli). «Non è stata un’invasione di alieni a portare l’ex capitano dell’esercito Jair Bolsonaro, quello della frase “i negri non vanno bene nemmeno per la riproduzione”, alla presidenza della quarta democrazia del mondo, un Paese di 200 milioni di persone abitato al 50 per cento da neri (7 per cento) e mulatti (43 per cento) più un milione di indigeni, secondo l’ultimo censimento dell’Istituto di geografia e statistica. Il nuovo presidente, il più a destra mai arrivato con libere elezioni al Planalto, ha fatto il pieno dei voti della bella borghesia bianca e istruita del Brasile. Il volgare ex colonnello con giubbottini attillati e sorrisetti da serial poliziesco anni Ottanta è presidente grazie ai voti dei quartieri “bene”, di quelli che prima votavano per il centro o per un intellettuale raffinato come l’ex presidente Fernando Henrique Cardoso e adesso non sono affatto infastiditi dall’idea di una svolta autoritaria. Anzi, la auspicano. Sono loro ad aver creato il fenomeno dell’ex militare nazi-pop. Lui s’è limitato a non fare quasi per niente campagna elettorale, affidandosi a valanghe di notizie false e a sparate via WhatsApp. La destra liberal, che seppur esilissima comunque esiste in Brasile, è stata spazzata via da una diffusa e possente richiesta di ordine. Non di legge, né di progresso. Di ordine. Una forte domanda di autoritarismo, banalmente. […] La promessa di ordine attraverso una repressione spiccia della delinquenza per via militare e la tolleranza totale per l’uso delle armi da fuoco garantita da Bolsonaro hanno fatto il resto. Alla maggioranza dei brasiliani oggi piace molto la frase di moda “L’unico bandito buono è il bandito morto”. Tra i suoi elettori più convinti ci sono moltissimi giovani, anche neri. […] Bolsonaro è stato votato da un eterogeneo 55 per cento di elettorato fatto da evangelici (neri e poveri in maggioranza), dalla maggior parte degli under 30 e, soprattutto, da moltissimi elettori bianchi, istruiti di ceto medio e medio-alto. La mappatura del voto è chiarissima: ha vinto in tutte le regioni ricche e bianche del Brasile. E sono loro, i bianchi brasiliani colti che si esprimono mediamente meglio di Bolsonaro e hanno studiato certo più di lui, ad aver spostato definitivamente i sondaggi in suo favore già alla fine di settembre in modo così netto da ammutolire la destra liberal e convincere quella parte di establishment ancora esitante a spalancare le porte all’ultradestra. […] Il nuovo Parlamento è per metà composto da debuttanti, eletti da formazioni nate da poco, sigle mai sentite prima, una trentina di partiti dalla ideologia indefinibile, ma quasi tutti di estrema destra. Un esempio per tutti: il Partito social-liberale che ha candidato Bolsonaro (approdato al Psl dopo aver visto la sua candidatura rifiutata da altri a destra) nel 2014 aveva un solo deputato, oggi ne ha 52 (militari, poliziotti, un ex attore porno, un ex atleta olimpico, un’agente diventata famosa per un video in cui spara a un ladro o supposto tale). Il gruppo parlamentare principale rimane comunque quello del Partito dei lavoratori, con 56 deputati, ma non è in grado numericamente di contrastare il partito trasversale dell’ultradestra, che somma i voti della famosa banda “Bibbia, vacche e pallottole” (religiosi, agro-business e politiche securitarie)» (Angela Nocioni) • «Il clan di Jair Bolsonaro è grande. Prima moglie fu, con cerimonia cattolica, Rogéria Nantes Nunes Braga, da cui Jair ebbe nel 1981 Flávio, nel 1982 Carlos e nel 1984 Eduardo. Seconda, con cerimonia civile, Ana-Cristina Valle, madre nel 1998 di Renan. […] Michelle de Paula Firmo Reinaldo Bolsonaro, del 1982, […] terza moglie, è figlia di un autista nero e di una merciaia bianca, con un fratello militare che quando hanno dato al cognato del razzista ha testimoniato: “Ma no, sembriamo bianchi ma in realtà abbiamo sangue nero sia io che mia sorella!”. Michelle trovò un posto come segretaria alla Camera dei deputati, dove conobbe Jair. Nel 2007 lo sposò civilmente; nel 2008 dovette licenziarsi; nel 2011 nacque Laura; nel 2013 ci fu il matrimonio pentecostale. Ardente fedele delle Assemblee di Dio, Michelle è attivissima nel volontariato, ed è lei a gradire che i discorsi del marito siano tradotti in linguaggio dei segni. Secondo gli intimi, è lei che comanda a casa, imponendo al marito di tenere i vertici politici nel patio. Laura è stata esibita in un tenero video con il padre, apposta per smentire un’immagine di misogino cui aveva contribuito la lite giudiziaria con Ana-Cristina, che lo aveva denunciato per minacce. La vocazione politica è invece quella dal lato di Rogéria. La prima moglie fu eletta consigliere comunale a Rio de Janeiro nel 1992 e 1996. Flávio, dopo essere stato deputato statuale di Rio de Janeiro dal 2003, è stato appena eletto senatore con la cifra record di 4 milioni di voti. Eduardo è deputato dal 2015 ed è stato rieletto con 1.873.735 voti. Carlos nel 2000 divenne a Rio de Janeiro il più giovane consigliere comunale di tutta la storia del Brasile, e nel 2016 è stato rieletto per la quinta volta anche lui con una cifra record di preferenze: 106.657. Insomma, poche famiglie riescono a vivere di politica più di questa dinastia “antipolitica”» (Stefanini) • «Accidentato è il percorso spirituale di Bolsonaro: tuttora dice di essere cattolico, ma ha cresciuto i suoi figli come battisti, e ha celebrato il suo terzo matrimonio con rito pentecostale. Ma con le sette protestanti in grande ascesa anche questo pedigree gli fa gioco» (Stefanini) • «La sua modesta biografia non è stata un ostacolo all’ascesa. Non sa rispondere alla più elementare domanda sull’economia (“non ne capisco niente”, ammette, ma ha l’uomo giusto per tutto) ,e il suo tabellino di 30 anni in Congresso non segnala niente di brillante, tranne qualche proposta sull’uso libero delle armi. È contraddittorio nella vita personale, difende la famiglia tradizionale brasiliana ma è alla terza moglie (ogni volta assai più giovane della precedente). Gli manca soprattutto la capacità di dialogo, in un sistema politico molto complesso, fatto di trenta partiti e un continuo gioco di scambi. Dove alzare la voce e sbattere il pugno sul tavolo di solito non serve a niente. C’è solo da augurarsi ora che Bolsonaro di questa arte del possibile che è la politica apprenda qualcosa, e non cerchi scorciatoie pericolose» (Cotroneo).