Libero, 22 marzo 2019
La crisi della cravatta
Gli italiani comprano sempre meno cravatte. Negli ultimi dieci anni le vendite hanno registrato un calo significativo: nel 2018 si è scesi dell’1,5 per cento, del 6,3 nel 2017 e dell’8 nel 2016. E se i1 2012 (-10,2%) e il 2011 (-14%) se la sono vista male, il dato peggiore risale al 2013, in piena crisi economica, con il 16,1 per cento in meno rispetto alla stagione precedente. Detto questo ricordiamo che nulla accade per caso. A partire dalla scelta della banca americana Goldman Sachs che ha deciso di eliminare l’obbligo di indossare giacca e cravatta per gli uomini (e il tailleur per le donne). Una svolta casual del più famoso istituto finanzario d’oltreoceano, tempio di ricchi uomini d’affari, che deve far riflettere. Via dal collo quelle strisce di tessuto (seppur griffate) colorate, a righe regimental, a pois o dalle stampe eleganti che donano un tocco di personalità e rallegrano le più noiose giornate di lavoro. Via a questo punto anche dal calendario il “cravatta day”, celebrato il 18 ottobre. Chissà come l’avrebbe presa Francois de la Rochefoucauld, autore della formula matematica: «Il nodo sta alla cravatta come il cervello sta all’uomo». Sconosciuta probabilmente al neo amministratore delegato della Sachs, David Solomon, che non ha passato le notti in bianco a riflettere se stravolgere il look dei suoi 36mila impiegati fosse cosa buona e giusta. Addio abito scuro e cravatta, via libera a jeans e maglietta, felpa e sneaker. E se con un colpo di spugna Solomon (di notte dj) ha cancellato anni di rigore e bon ton nel mondo della finanza, ora tutti, ma proprio tutti, si sentiranno autorizzati a vestire in libertà. E chissà con quali risultati. Vorrei vedere le facce di quelli che si presenteranno alla Goldman Sachs per investire i propri risparmi, quando si ritroveranno davanti un bancario stile Fedez in maglietta e tatuaggi in mostra. Gli chiederanno di cantare... Una notizia che indubbiamente piacerà molto alle aziende di casual, molto meno invece ai sofisticati sarti di abiti e cravatte su misura. Che per anni si sono adoperati nel lanciare mode. Tutti ricorderanno gli Yuppies degli anni Ottanta. Young Urban Professional rampanti e famosi per le cravatte dai nodi come limoni di Sorrento per quanto erano voluminosi che troneggiavano “con orgoglio” sulle camicie bianche inamidate. Mentre i rockettari inglesi, per protesta, adottavano le slim in pelle nera. La cravatta canone di eleganza l’abbiamo vista bertinottiana in puro cachemire, berlusconiana blu a pois; gialla di Adriano Galliani e a tinte forti di Gianfranco Fini. Poi è arrivato il presidente americano Obama, quasi sempre “senza”, mentre il New York Time scriveva «la cravatta ha perso il suo potere» (era il 2016). E aveva ragione. In quegli anni da noi ci ha pensato Sergio Marchionne con il suo maglioncino a sdoganare il look informale dei grandi manager durante gli impegni istituzionali. Per non parlare di studi e ricerche che negli ultimi tempi puntano il dito contro la cravatta per affermare che “senza” si produce di più. La cravatta, infatti, annodata al collo per l’intera giornata ridurrebbe il normale flusso sanguigno al cervello alterando le funzioni cognitive. Sono stati tenuti sotto controllo 30 uomini in ufficio e quelli con il “cappio al collo”(si fa per dire) erano anche i meno produttivi. Sarà per questo che i grandi imprenditori come Mark Zuckerberg e Steve Jobs li abbiamo visti sempre e solo in t-shirt. Una cosa è certa: sul posto di lavoro non si può giocare con il look, l’abito sbagliato o volgare mette in difficoltà chi lo indossa e chi è costretto a subirlo.