La Stampa, 22 marzo 2019
Le bufale su Mussolini
«Se solo non fosse entrato in guerra», «se non avesse fatto le leggi razziali», «se non si fosse alleato con Hitler…». Credo che chiunque, parlando di fascismo, abbia sentito pronunciare questi luoghi comuni relativi a Mussolini e al suo governo, che «se solo non…» avrebbe fatto dell’Italia una grande potenza e degli italiani un popolo ricco e rispettato. È un comune sentire diffusissimo nel nostro Paese, bravissimo a dimenticare gli orrori del passato; una variante del «quando c’era lui» o del «si stava meglio quando si stava peggio» degli anni Cinquanta e Sessanta. Ultimamente certe baggianate compaiono anche sulle chat social, con una foto del Duce ammiccante e la scritta «Confessate! Vi serve una mano».
Esce in questi giorni l’agile e necessario libro di Francesco Filippi Mussolini ha fatto anche cose buone, con lo scarsamente accademico ma significativo sottotitolo «Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo» (Bollati Boringhieri, pp. 169, € 12). Un testo efficace, che ripercorre tutte le leggende sul fascismo «buono» e Mussolini «ottimo amministratore». L’economia, la politica interna, la politica estera, le leggi razziali e la guerra vengono smantellate dall’autore sulla base della storiografia scientifica e di ricerche originali.
Un Ventennio disastroso
Tra le tante informazioni, vi sono quelle relative al sistema pensionistico, non creato dal fascismo ma semmai peggiorato rispetto a quello realizzato dall’Italia liberale, all’economia italiana, impoverita dal regime, e ai molteplici aspetti del sistema repressivo e militare fascista. Il quadro complessivo, ben conosciuto dagli specialisti ma ignorato dal grande pubblico, è disastroso. Un regime corrotto, incapace e violento, che ha portato a una guerra catastrofica ed è perito soltanto dopo una sanguinosa e dolorosissima guerra civile. Una dittatura da cui gli italiani si sono potuti liberare solo pagando un prezzo altissimo, ma che ora in parte rimpiangono.
Perché questa nostalgia del fascismo è così diffusa? Cosa ha portato a un oblio condiviso sulle colpe del regime e di Mussolini? Evitiamo, per carità di patria, di parlare delle esternazioni di alcuni uomini politici e della loro influenza sull’opinione pubblica, ma ripartiamo dall’immediato dopoguerra.
Una volta liberata l’Italia dal nazifascismo, chi aveva combattuto a fianco dei nazisti fino ai primi di maggio del 1945 si trovò nell’imbarazzante situazione di doversi difendere davanti alle corti di assise, alle commissioni di epurazione ma, soprattutto, davanti al tribunale della storia. Chi aveva combattuto contro gli Alleati e i partigiani, chi aveva contribuito alle deportazioni nei Lager nazisti di partigiani, antifascisti ed ebrei doveva in qualche modo giustificare il proprio operato, agli occhi dell’opinione pubblica e della propria coscienza.
Il Duce «buon uomo»
Subito dopo la guerra, quindi, gli ex fascisti hanno cominciato a pubblicare un profluvio di libri, memoriali e pamphlet nei quali si cominciava a creare quella «vulgata» neofascista che tanto favore ha incontrato in un popolo ancora abitato dal senso di colpa per l’appoggio dato al regime. Così il maresciallo Rodolfo Graziani, l’uomo dei gas in Etiopia e delle forze armate di Salò, scrisse di aver speso «una vita per l’Italia»; Piero Pisenti, ministro della Rsi, ne scrisse come di una «Repubblica necessaria» a evitare la «vendetta tedesca». Bruno Spampanato, direttore del Messaggero nel 1943-1944, «assolveva» Mussolini dalle leggi razziali, definite un errore che poteva evitarsi.
I volumi pubblicati dai neofascisti, fino a tutti gli anni 90, sono stati decine, e ripetono ossessivamente lo stesso cliché: Mussolini ha voluto soltanto il bene del Paese, il regime fascista è stato efficiente, i suoi uomini dei patrioti e l’Italia non ha mai commesso alcun crimine, neanche nelle colonie, neanche durante la guerra. In sintesi: il mito del Duce «buon uomo» fa da contraltare al mito degli «italiani brava gente», assolvendo in toto il dittatore, la dittatura e il popolo italiano.
Insomma dal 1945 in poi gli ex fascisti di Salò hanno scatenato una vera e propria campagna mediatica allo scopo di stravolgere la storia del recente passato e di vincere la guerra della memoria, grazie anche alla involontaria complicità di parte di accademici e storici professionisti che hanno preso per buone le tante «testimonianze» e le innumerevoli «memorie» dei protagonisti del defunto regime. Così i racconti di Spampanato sono diventati uno dei testi base per ricostruire la politica razziale di Mussolini, e i taccuini di un altro giornalista fascista decisamente creativo come Yvon De Begnac sono una fonte affidabile per «capire» il regime.
Il risultato? Ancora oggi studiosi seri come Francesco Filippi si devono sobbarcare all’ingrato compito di smantellare quelle che un tempo si chiamavano «bufale» e che oggi amiamo definire fake news.