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 2019  marzo 22 Venerdì calendario

Intervista a Paolo Bonolis

Paolo Bonolis: come chiunque sia dotato di personalità forte, può suscitare calde simpatie e pure l’opposto. Quando c’è lui in tv, c’è, e non si risparmia. Per dire la persona: una volta, al Salone del libro di Torino, arrivò nello stand Rai, lavorando a Mediaset, solo per presentare il libro di una suora bosniaca amica sua, suor Stella. Segno dei Gemelli, 58 anni a giugno, cinque figli dai 34 agli 11 anni. Quel suo linguaggio («Con le vostre falangi frementi, votate») è così vistosamente sproporzionato al mezzo, che non solo si è consolidato in un personalissimo stile, ma si conferma, per milioni di spettatori, una sorta di Maestro Manzi della tv contemporanea. 
La sua conduzione, con quella della spalla Laurenti, pare studiata per titillare primari istinti. Stasera, nella nuova edizione di Ciao Darwin, Canale 5, la sfida sarà tra le squadre «Gay Pride», capitano Luxuria, e «Family Day», capitano Povia.
Non le sembra un tema troppo delicato per un varietà?
«Ma il punto è proprio quello: trattare con leggerezza e disincanto argomenti di rilevanza sociale. Magari può essere utile. Le contrapposizioni ideologica, culturale, politica, religiosa, sentimentale creano solchi e distanze. Se poi ci mettiamo il bombardamento quotidiano che incita alla divisione, come una goccia cinese che alla fine riesce a bucare le teste, grazie anche ai pregressi storici che l’hanno fatta maturare. Quindi, se scherziamo su un tema così importante, è possibile che passi l’idea che l’amore è amore, e che si può condividere».
Vasto programma: ma intanto «Ciao Darwin» è cominciato nel 1998. Non è stufo?
«Allora avevo 38 anni, ora ne ho 58: è più un problema di articolazioni che di testa. Questo è un prodotto faticoso, ma con un disegno morale trasversale ai tempi, che comunque male non fa». 
«Darwin» è davvero trash?
«Il problema sono le etichette. Sono facili. Quella del trash è l’etichetta di Darwin: che certo, lo racconta, ma lo fa consapevolmente. Il trash vero è quello inconsapevole: e allora fa paura».
Perché tratta male gli ospiti? Perché è così cinico nei confronti dei difetti fisici?
«Un’altra etichetta. Io la chiamerei piuttosto assenza voluta di ipocrisia. E infatti gli ospiti lo capiscono perfettamente, nessuno se la prende mai. Anzi, mi sono grati, loro e i telespettatori, perché non uso quel linguaggio per me ormai insopportabile, del politicamente corretto televisivo».
A proposito di linguaggio: il suo non rischia di diventare manierismo?
«Quando si lavora nella comunicazione, il minimo sindacale è avere un linguaggio a disposizione. Io che ho letto tanto, tantissimo, e continuo, soffro a vedere i ragazzi che faticano con i testi scritti, sintetizzando i concetti con le faccine: rischiano l’atrofia, del linguaggio. Mentre il linguaggio è l’unico modo per destreggiarsi tra alto e basso, contaminare i generi, mescolare».
Lei fa tv da 40 anni: se avesse la bacchetta magica, che programma farebbe?
«Mi piacerebbe un programma di divulgazione, divertente. Letteratura, cinema, scienze, arti figurative, quel che si vuole: il bello sarebbe affrontare ogni argomento senza incrostazioni né mistificazioni».
Tornerebbe al Festival di Sanremo?
«No. Ma proprio no. E non solamente per un problema logistico, è chiaro che gli spazi del Teatro Ariston non sono più adeguati ai tempi. Non c’è più un mercato discografico. Si pensa solo ai brani che possono andare in radio. Insomma, non dico che non vada bene: dico che non mi interessa».
Che cosa le interessa, a parte «Ciao Darwin»?
«La mia squadra di calcio. Si chiama Azzurri 2010. Non ho guadagnato male nella vita, non mi interessano le barche e le Ferrari, e allora ho pensato di investire in una realtà che aiuti i ragazzi a staccarsi dalle logiche rituali della loro esistenza. Sì, sento come un problema il rapporto dei giovani con le tecnologie: non sarebbe un problema se fosse un uso, ma è un abuso. Così, se questi possono andare a zampettare su un campo, è meglio».
Scriverebbe un libro?
«Mah... può darsi. Però, più leggo, più penso che dovrebbe scrivere solo chi lo sa fare».
Lei era Bonolis già 40 anni fa. Perché non c’è nessuno pronto a sostituirla?
«Perché i giovani si muovono solo sulle piattaforme: e la televisione non interessa più».