ItaliaOggi, 22 marzo 2019
I nemici delle donne sono i figli. Per questo motivo non bisogna generarli. È la tesi dell’ultimo libro Usa di Lina Meruane
Una delle ultime tendenze che si sta affermando negli Stati Uniti è quella di una vita senza figli, la cosiddetta child-free life. Una vita che secondo le parole di una delle sue più accanite sostenitrici, Lina Meruane, eviterebbe la dittatura dei figli. Stando al suo saggio Contra los hijos («Contro i figli»), uscito nel 2015 e recentemente tradotto in italiano, avere dei bambini annulla la libertà dei genitori. Soprattutto della madre. Quest’ultima, dedicandosi alla cura dei propri bambini e alle faccende domestiche che ne conseguono, perderebbe la propria indipendenza. La donna, divenuta madre, insomma, verrebbe schiacciata dal potere tirannico dei figli da lei generati.La concezione della maternità esposta dall’autrice è radicale. I figli, anche se voluti consapevolmente e in seguito ad una libera scelta, costringono le donne alla prigione domestica, dalla quale è impossibile emanciparsi. Anche l’aiuto del partner non basta. In questo senso la nascita di un figlio perpetua una società patriarcale e maschilista che sottomette la donna e ne compromette irrimediabilmente la libertà. I figli, seguendo questo ragionamento, diventano degli «strumenti» con cui il potere assoggetta le donne e ne impedisce l’emancipazione.
Con il libro della Meruane e con il suo successo mediatico ed accademico, insegna alla New York University, siamo di fronte ad una forma di femminismo ancor più radicale. Se con il politicamente corretto estremo, venivano attaccati gli uomini in quanto maschi, considerati come potenziali molestatori (si pensi agli stereotipi condensati nella pubblicità della Gillette), con questa impostazione ideologica si è giunti molto più in là. Si è arrivati a mettere in discussione i bambini perché necessitano di cure e attenzioni, che tolgono tempo libero alle donne-madri.
I nemici dell’emancipazione femminile, secondo questa logica, non sono più i maschi padri e padroni ma delle piccole creature che, da innocenti pargoli, si sono trasformati in potenti mezzi di sottomissione.
Le parole dell’autrice non lasciano spazio a dubbi: «Questa stirpe di figli non è più nostra, è lo strumento che la società ha creato per censurare, come mai aveva fatto prima, la nostra libertà. Non siamo più gli adulti che eravamo, ma i diligenti servitori di questi piccoli esseri muniti di diritti e tutelati dallo Stato e dalle sue istituzioni: dal governo e dai politici, dai giudici, dai medici, dalle ingenue maestre e dalle nonne».
La maternità e la nascita di un figlio, da grande gesto d’amore e dono, si trasformano così in un atto di sottomissione. Diventano un momento drammatico in cui la donna perde la propria libertà. La maternità, da immensa gioia, si tramuta in tragedia. In una vera e propria condanna.
A fronte di un ragionamento simile nasce un dubbio: tutte le donne che hanno scelto liberamente di diventare madri hanno davvero perso la loro libertà? I loro figli sono a tutti gli effetti dei tiranni? Chissà. La questione è forse un po’ più complessa rispetto alle analisi della Meruane. E probabilmente non può essere ridotta ai sacrifici fatti per crescere un figlio.