Corriere della Sera, 22 marzo 2019
Intervist a Antonio Pappano
«Da ragazzo – racconta Antonio Pappano – abitavamo fuori Londra, a Epping, presso una famiglia bene dove mia madre faceva la cameriera e la cuoca. Più tardi ci raggiunse mio padre e andammo a Pimlico, case grigie che il governo dava alla working class. Non lo dimentico mai. A scuola per sfottermi mi chiamavano Pappino o Pappone, io chiesi di cambiare il nome in mr Smith. Bullizzato? Sì, ma non erano così cattivi con me, i bambini possono essere crudeli».
Oggi Pappano è diventato sir e vive a Hampstead, zona residenziale, circondato da premi e titoli che si trovano solo in Inghilterra, come quello di Free Man che «dà diritto ad attraversare il Ponte di Londra con delle pecore, qualora se ne abbiano». Ieri alla Royal Opera House ha debuttato La forza del destino con la regia di Christof Loy e un cast formidabile dove svettano Anna Netrebko e Jonas Kaufmann. È un anno importante per il direttore sospeso tra l’opera a Londra e l’Orchestra di Santa Cecilia a Roma: a dicembre ne compie 60.
Tempo di bilanci.
«A Roma la sfida è di indirizzare il pubblico verso repertori meno sicuri, c’è ancora strada da fare. Il livello è alto, a fine marzo la tournée a Mosca, poi i cd: Otello, Bruckner, e uno con Diana Damrau. Con l’età ti rendi conto di cose che avevi davanti e non le vedevi: è la semplicità come punto di arrivo. Diventi più forte e sereno nelle tue idee musicali. Non ho più voglia di scontri e polemiche».
Ma c’è uno scontro proprio a casa sua, al coro di Santa Cecilia, lo sciopero proclamato…
«Per far saltare la Nona di Beethoven con Kirill Petrenko, il nuovo direttore dei Berliner. Sarebbe un disastro da ogni punto di vista, rovinerebbe un rapporto che si è costruito lentamente con uno dei maggiori talenti del mondo. Ho ottime relazioni col coro, faccio un appello, se ci sono cose da discutere, lo si fa, però abbandonate minacce di quel genere».
All’Opera di Londra quanti coristi avete?
«Sono 48. A Roma ne resterebbero 66. Comprendo le paure, in un mondo in cui tutto cambia rapidamente, ma il coro non sarà sciolto».
Si parla di un’ipotesi di lei con Carlo Fuortes in futuro alla Scala.
«Veramente ho letto di Fuortes con Daniele Gatti. Sarò a Londra fino al ’23 (con lo stacco di un anno), e a Roma fino al ’21: cosa posso discutere ora?».
Cosa pensa del caso degli arabi alla Scala?
«Pereira è un sovrintendente abile con i soldi. La Scala è un simbolo, certo. Non mi sono mai occupato di aspetti finanziari. Eticamente, ogni Paese ha i suoi rapporti».
A Santa Cecilia avreste restituito l’anticipo di 3 milioni da uno Stato arabo coinvolto in fatti di cronaca nera?
«Se il rapporto fra Italia e Egitto è messo in pericolo dal caso Regeni, ciò impedisce qualunque contatto per una tournée. In ogni caso, quale interesse avrebbe l’Arabia Saudita a entrare nel cda di Santa Cecilia?».
Lei, inglese di origine italiana, e lo psicodramma della Brexit.
«Sono d’accordo nel bloccare la terza votazione sullo stesso accordo, perché non si andava da nessuna parte. Ci sono stati malintesi creati ad arte, il voto pro Brexit è stata una protesta contro Londra, favorevole alla Ue. Menzogne e bugie sono state vergognose. Ora nelle zone rurali stanno scoprendo le difficoltà. Io sarei per un secondo referendum con domande chiare».
Quali le conseguenze della Brexit in teatro?
«Molte, basti pensare ai problemi dei visti. E non parliamo quando, in un’emergenza, bisogna fare arrivare all’ultimo momento un cantante da fuori per salvare la recita. Non so come se ne uscirà, noto una difficoltà dei tg a spiegare questa storia, che è umiliante per gli inglesi».
«La forza del destino», sanguigna e col tema della solitudine.
«Un cast del genere è un evento. La scena è claustrofobica, semplice e monumentale. È un’opera spirituale, tutte le arie di Leonora, tranne la prima, sono preghiere. Poi queste creature disperse nel mondo che si incrociano, senza saperlo per anni».