Corriere della Sera, 22 marzo 2019
In fondo al mare più plastica che vita
Gli abissi del mare sono ancora tutti da esplorare. Ma ora che le tecnologie ci consentono di esplorare con precisione i fondali più profondi e inaccessibili, stanno venendo alla luce scoperte inaspettate. La notizia negativa è che nei canyon sottomarini del Mediterraneo, quelle ripide depressioni della piattaforma continentale, in cui la profondità del mare precipita d’improvviso per migliaia di metri, si stanno trovando degli enormi accumuli di microplastiche. Particelle di polimeri di dimensioni piccolissime, inferiori al millimetro, formatasi dalla decomposizione di buste, reti e altri rifiuti finiti in mare, che cadono sul fondo fino a raccogliersi in queste fenditure abissali, e ad aggregarsi alla microfauna che vive a queste profondità.
«In alcuni sedimenti che abbiamo analizzato, abbiamo riscontrato concentrazioni elevatissime di microplastiche, con anche decine di milioni di particelle per metro quadro», racconta Cinzia Corinaldesi, la professoressa di Biologia marina dell’Università di Ancona, che ha appena completato una ricerca di tre anni sull’impatto della plastica negli ambienti marini di profondità.
Uno studio dalle conclusioni sconcertanti perché, a giudicare almeno da alcuni campioni esaminati, sui fondali del Mediterraneo potrebbero esserci anche più frammenti di nylon, poliestere e polipropilene che non animali marini. Con contaminazioni non sempre visibili ad occhio nudo, come nel caso dei coralli, che presentano delle vere e proprie ferite causate dall’attrito con la plastica, oltre che i segni dello stress dovuti all’ingestione di polimeri. Perché tracce di microplastiche sono state trovate in tutti i nematodi analizzati, cioé quei piccoli vermi che si agitano sui fondali e sono alla base della rete trofica, in altre parole della catena alimentare marina. E se i vermi contengono frammenti di plastica, anche i pesci che se ne cibano ne conteranno, con conseguenze ancora tutte da studiare sulla nostra salute.
«A lungo abbiamo pensato che la spazzatura che galleggia fosse il segno più evidente dell’inquinamento del Mediterraneo», osserva il professor Roberto Danovaro, biologo a capo della Stazione zoologica di Napoli, che ha contribuito alla ricerca: «Ma ora scopriamo che i fondali più profondi sono delle discariche in cui si è raccolta tutta la plastica gettata in mare nel corso di decenni». E in effetti è negli abissi a oltre mille metri di profondità, come nel canyon Caulonia, nella Calabria ionica, o in quello San Gregorio, nella Sicilia orientale, che sono state trovate le concentrazioni più alte di plastica.
Ma l’esplorazione dei nostri fondali con piccoli sommergibili guidati dalla superficie, sta permettendo di fare scoperte anche meno ansiogene, e questa è la notizia positiva.
Scandagliando le acque del golfo di Napoli, Marco Taviani, un veterano delle immersioni negli abissi, ricercatore dell’Ismar-Cnr di Bologna, si è imbattuto ad esempio in una spettacolare colonia sottomarina, formata da coralli (Lopheli e Madrepora), ostriche gigantesche e rari molluschi attaccati alle pareti di un canyon a 450 metri di profondità. «Abbiamo approfittato della nave oceanografica MinervaUno, che partiva dal porto di Napoli per la Sicilia, per mappare il canyon Dohrn, che scende fino a 1.300 metri di profondità», racconta Taviani. «Avevamo delle timide speranze di fare qualche scoperta, ma visto il pesante inquinamento dell’area, non ci aspettavamo certo di trovare a una ventina di chilometri dalla costa un biotopo marino di questa varietà e ricchezza. Con scogliere di coralli bianchi, ostriche giganti che vivono fino a 500 anni, e rari molluschi bivalvi che si credevano estinti. La bellezza di queste scoperta sta nell’aver trovato tutte queste forme di vita insieme e in un unico punto».
Nel golfo di Napoli peraltro le concentrazioni di microplastiche sono risultate di due terzi più basse rispetto a quelle dei canyon più inquinati di Sicilia e Calabria. A riprova del fatto che gli abissi marini riservano sempre delle sorprese. «E il canyon Dohrn potrebbe anche non essere un’eccezione – conclude Danovaro – per questo è necessario approfondire queste indagini negli ambienti di profondità».