Corriere della Sera, 21 marzo 2019
I decenni perduti del Giappone
Negli ultimi mesi, i dirigenti di partito e gli economisti cinesi hanno iniziato a guardare, preoccupati, il Giappone: i suoi «decenni perduti». Si tratta di oltre vent’anni durante i quali il Sol Levante ha avuto una crescita scarsissima, in alcune fasi negativa, dopo che negli Anni Ottanta era stato l’economia emergente più straordinaria, quella che – si diceva – avrebbe soppiantato l’egemonia degli Stati Uniti. Al boom di crescita, di avanzamenti tecnologici e di conquista di mercati è invece seguito un lungo declino: l’economia nipponica è ancora la terza al mondo ma non è più un fenomeno. Il Pil del Paese toccò – dati della Banca mondiale – i 5.449 miliardi di dollari nel 1995 e da allora è sempre rimasto attorno a quel livello: nel 2017, addirittura, è stato di 4.872 miliardi. Anche tenendo conto dei cambi valutari, è chiara la non crescita. Tra il 1990 e il 2010, l’inflazione è rimasta nel complesso stagnante, con una deflazione tra il 1998 e il 2012 pari al 4% (dato della Banca dei regolamenti internazionali) e i salari reali sono scesi del 5%. La preoccupazione che si è diffusa in Cina non è un generico timore che si ripeta il flop giapponese, che la sfida economica agli Stati Uniti fallisca. È più concreto. In un convegno tenuto a Pechino martedì scorso, si è discusso dell’accordo del Plaza del 1985, nel quale Usa, Giappone, Regno Unito, Francia e Germania (G5) decisero il deprezzamento del dollaro. Nel convegno pechinese – riporta il South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong – si è fatto risalire a quell’incontro l’inizio del declino delle esportazioni nipponiche, a causa del rafforzamento dello yen: con il conseguente scoppio della bolla finanziaria e immobiliare e i successivi decenni perduti. Il sospetto diffuso in Cina, oggi, è che l’obiettivo di Washington nei negoziati commerciali in corso con Pechino sia lo stesso di quello di metà Anni Ottanta: un Plaza Due riservato alla Repubblica Popolare e finalizzato a frenarne l’emergere come nuova potenza. Le differenze, rispetto a trent’anni fa e tra i due Paesi ci sono. C’è però un’altra caratteristica che li accomuna in negativo, la demografia: la popolazione giapponese (126,8 milioni) ha una decrescita dello 0,2% e ciò indebolisce l’economia; la popolazione cinese (circa un miliardo e 400 milioni) smetterà di crescere attorno al 2025.