Corriere della Sera, 21 marzo 2019
I nuovi sciuscià
NEW YORK Non somiglia a quello dello sciuscià del film neorealista di De Sica, ma il mestiere del lustrascarpe sta riprendendo quota in America – e anche in molte città europee – diventando addirittura attività innovativa: roba da start up, anche se poco tecnologiche. Merito del boom delle sneaker, le calzature sportive che non solo ormai dominano i mercati delle scarpe di tutto il mondo, ma in molti casi sono diventate oggetti di culto da pulire e restaurare con grande cura. Studiate da antropologi e sociologi come un nuovo fenomeno culturale.
Un tempo erano considerate scarpe da ginnastica quasi «usa e getta»: fatte di gomma e tela e quindi difficili da pulire e riparare, le sneaker sporche o con qualche crepa finivano sistematicamente nel secchio della spazzatura o dimenticate in un armadio. Ora, invece, queste calzature vivono una nuova vita anche perché si moltiplicano i collezionisti dei modelli più rari mentre i grandi produttori, da Nike ad Adidas, alimentano le nicchie più preziose del mercato con le edizioni limitate di certi tipi di scarpa.
Inseguendo la nuova tendenza, intanto, nel mercato delle sneaker sono entrati anche i grandi brand del lusso – da Hermes a Gucci, da Balenciaga a Dolce & Gabbana – con modelli, ovviamente, molto costosi.
Così in America hanno cominciato a moltiplicarsi i servizi di sneaker repair: anziché buttare le scarpe malridotte, le mandi a un centro che per 35 dollari te le ripulisce accuratamente, mentre un vero e proprio restauro costa 150 dollari. Insensato se le scarpe valgono poco, ma le sneaker di lusso possono arrivare a costare anche mille dollari, e i collezionisti sono disposti a fare follie per una scarpa da basket o da tennis rara di un passato più o meno remoto. Scarpe con un valore storico (l’industria è nata poco più di un secolo fa con la Converse, primo modello di successo la All Stars del 1917) che a volte hanno avuto addirittura un peso politico. Nel 1936 la rabbia di Hitler nel vedere Jesse Owens trionfare davanti a lui nello stadio olimpico di Berlino aumentò quando scoprì che il velocista nero americano usava scarpe tedesche Dressler (azienda creata da due fratelli che poi si separarono dando vita a due marchi diversi: Adidas e Puma).
A volte sono i calzolai tradizionali e i negozi di riparazione di borse che allargano la loro attività alle calzature sportive, ma più spesso sono gli stessi giovani collezionisti di sneaker, come le Air Jordan per il basket, a costruirsi una carriera da artigiani. Tra di loro moltissimi i veterani che hanno passato qualche anno sotto le armi, soprattutto ex marines. Forse perché nelle caserme e negli accampamenti militari hanno dovuto tenere in ordine abiti e calzature.
Hanno pochi soldi, seguono su internet le indicazioni dei tutorial e imparano a pulire le scarpe da soli procurandosi solventi, disinfettanti, spray per la pelle, inventando miscele di detersivi o sperimentando quelle, alquanto fantasiose, proposte in Rete da mamme premurose.
Quando imparano, cominciano a offrire il servizio agli amici e poi allargano il giro. Come Tramaine Oxley, il titolare della Sneaker_staykrisp di New York: un’azienda la cui sede, come ha raccontato lui stesso al Wall Street Journal, è nella cucina di casa sua a Brooklyn dove ripara e pulisce scarpe su commissione quando non fa l’autista per Uber.
«Bastano un nome che colpisce, un biglietto da visita, un sito web e uno spedizioniere come Ups», spiega Prentice Burleson, un altro ex marine che a Moreno Valley, periferia di Los Angeles, ha già restaurato 500 paia di sneaker.