il Fatto Quotidiano, 21 marzo 2019
Cassa integrazione, il bancomat della Mondadori
Io chiedo, tu paghi e zitto. Crisi vere o presunte, la cassa integrazione per molte aziende è diventata un bancomat. La reiterata riproposizione all’Alitalia ha indotto la Procura di Civitavecchia ad aprire un’inchiesta ipotizzando che sia stata compiuta una truffa. Alla Mondadori, invece, assuefatti all’idea di poter ottenere per i giornalisti generosi ammortizzatori sociali a scatola chiusa, hanno chiesto un nuovo ciclo di cassa integrazione allegando alla domanda una documentazione ritenuta così poco argomentata e scarsa che il sindacato di categoria (Fnsi), interpellato in prima battuta, ha dovuto dire di no.
Nel caso dell’Alitalia i soldi fatti piovere sulle piste provengono dal Fondo volo dell’Inps. Nel caso della Mondadori a tirarli fuori è l’Inpgi (l’Istituto di previdenza della categoria) che, anche per effetto di queste uscite forzose, non se la passa affatto bene. E per rimediare in corsa ai buchi aperti nei bilanci dalla cassa integrazione pretesa dalle aziende editoriali, l’Inpgi sta tentando di ampliare la platea dei contribuenti tirando dentro nuove figure professionali: i “comunicatori professionali” delle aziende private, gli uffici stampa della pubblica amministrazione e chi si occupa di “contenuti a carattere informativo diffusi sul web”. Un orientamento sposato all’interno del governo dalla Lega, prima dal sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, e più di recente da Massimiliano Capitanio della commissione Lavoro con un emendamento al Decretone che, però, è stato bloccato dal presidente della Camera Roberto Fico (M5S), ma apprezzato dalla dem Debora Serracchiani.
Tra cassa integrazione, solidarietà e prepensionamenti forzati, alla Mondadori la storia degli ammortizzatori sociali va avanti da una decina d’anni anche in presenza di numerosi esercizi di bilancio allietati da ragguardevoli utili e da bonus sibaritici che l’ad Ernesto Mauri e gli altri dirigenti si sono generosamente attribuiti. E ora Mondadori chiede “il ricorso alla cassa integrazione o in alternativa a un contratto di solidarietà laddove tale strumento consenta di raggiungere gli obiettivi di risanamento economico prefissati dall’azienda”. Obiettivi, però, che non sono scritti nel documento di appena 5 pagine e mezzo contenente la richiesta di soldi. Questa volta la cassa integrazione dovrebbe riguardare 35 giornalisti su un totale di 149 rimasti in azienda, esclusi direttori e vice e le redazioni di Tu Style e Confidenze che già hanno subito un taglio alle retribuzioni di circa il 30%.
Ricevuta la richiesta della Mondadori, il segretario del sindacato dei giornalisti, Raffaele Lorusso, ha inviato sei righe di risposta per dire che, stando così le cose, di cassa non se ne parla: “La nostra disponibilità… è condizionata al ricevimento di un piano di interventi in linea con le previsioni… e con la vigente normativa in materia”. Quando nel maggio di 4 anni fa la Mondadori avanzò la precedente richiesta di cassa integrazione si premurò di corredarla con un corposo documento di 90 pagine, anche se allora era sufficiente sostenere che i conti non tornassero. Almeno oggi, per legge, le imprese editoriali dovrebbero sforzarsi di dimostrare che è in atto da un biennio un andamento involutivo.