La Stampa, 21 marzo 2019
Intervista a Ramin Bahrami
Due libri due, in uscita contemporaneamente da “La nave di Teseo” e dedicati a Mozart e a Beethoven: sottotitoli, rispettivamente, Il genio sempre giovane e Il ribelle. Dopo Nonno Bach pubblicato nel 2015, il pianista Ramin Bahrami ci ha preso gusto. L’idea di base: ipotizzare che i due grandi musicisti del passato (e Johann Sebastian prima di loro) facciano da guida a un cucciolo d’uomo. L’abbiamo conosciuto bambino con Bach, ora lo ritroviamo teenager con Mozart e poi alle soglie della maturità con Beethoven.
Soprattutto, questi signori si comportano come se sapessero tutto della nostra epoca. Mozart, per esempio, il ragazzo lo incontra in discoteca. Ci spiega meglio?
«Immaginare che abbiano vissuto tutto quello che viviamo noi non è difficile: vista la loro sensibilità e la loro profondità di pensiero possiamo pensare che sarebbero stati in grado di prevedere tutto, non le pare? Di comprendere i nostri problemi».
E sul ventunesimo secolo non mancano di dare giudizi molto severi, per esempio sui pianisti «solerti dattilografi», o sui talent, che danno «la falsa illusione di saltare la gavetta».
«La mia intenzione era proprio quella: contrapporre al nostro mondo basato sul menefreghismo, sulla superficialità e sul commercio queste figure meravigliose, che hanno rivoluzionato il mondo a 360 gradi. Non solo come compositori, ma anche come uomini. Il bello e la cultura sono gli unici rimedi che possono salvarci. Ma è commovente accorgersi delle fragilità e degli aspetti profondamente umani di questi due geni. Mozart era afflitto da mille debolezze, Beethoven ha sofferto pazzamente per amore. Non erano molto diversi da noi. Quanto ai talent e ai dattilografi: si è perso l’amore per lo studio, la gioia della scoperta delle emozioni. Ragazzi stonatissimi ottengono un successo immediato e incredibile, neanche fossero Caruso. Vuole che non sia preoccupato?».
Mozart consiglia al suo giovane interlocutore: chiedi a te stesso meno di quello che vorresti ottenere, perché questo ti farà crescere. Affermazione piuttosto insolita per il nostro tempo basato sull’ego e sulla competizione.
«E invece io credo che proprio un certo grado d’insicurezza, una sensazione di impermanenza, di labilità, stia alla base del genio. Le ambiguità, lo stare in bilico, sono elementi da valorizzare. E sempre in bilico è la musica di Mozart: fra gioia e malinconia, fra dubbio e verità. Del resto, quale certezza abbiamo, noi esseri umani?».
Il suo è un atteggiamento molto orientale.
«E ne sono fierissimo, come figlio di un papà mezzo persiano e mezzo tedesco e di una mamma che ha respirato in casa un’atmosfera russo-turca».
C’è, in questi libri, un pregiudizio che è stato soddisfatto di sfatare?
«Quello della presunta rudezza di Beethoven. Non era affatto quell’orso che si crede, basti leggere il cosiddetto testamento di Heiligenstadt, scritto quando aveva appena 28 anni, dove nega di essere “astioso, scontroso e addirittura misantropo”. I suoi contemporanei non capivano quanto la sordità lo mettesse a duro disagio».
Sono in arrivo altri suoi libri?
«Una storia della musica persiana, la prima mai scritta in italiano. Ma non trascuro i concerti e i dischi».
Bach, sempre Bach, fortissimamente Bach?
«Eccome. Con Gioele Dix, in 30 per 100, ho fatto dialogare le Variazioni Goldberg con i romanzi in una pagina di Manganelli, poi uscirà un cofanetto con pressoché la totalità delle suo opere per tastiera, poi una scelta ragionata del “Clavicembalo ben temperato”. Dal vivo, il 14 aprile, le “Variazioni Goldberg” al Regio di Parma. Sarà un’emozione suonarle nella città di Giuseppe Verdi».