La Stampa, 21 marzo 2019
La storia delle giostre in una mostra
«La ricerca della vertigine, la perdita della percezione della stabilità: è quello che affascina delle giostre. Un fascino immutato nel tempo, che accomuna i bambini di ieri a quelli di oggi: che siano i cavallini o la più moderna delle montagne russe, si è comunque attratti da questo panico voluttuoso, che diverte e dà piacere». Un ottovolante di emozioni e nozioni: non potrebbe esserci definizione migliore per Tommaso Zaghini, classe 1933, per 40 anni insegnante d’italiano e ideatore del Museo Nazionale della Giostra e dello Spettacolo Popolare di Bergantino (RO), comune con meno di 3 mila abitanti considerato a pieno titolo capitale europeo delle giostre. E proprio da questo museo arrivano alcuni pezzi pregiati, come i modellini meccanici perfettamente funzionanti e alcuni organi di fine 800 utilizzati nelle piazze per attirare gente, in esposizione nella mostra «Giostre – Storie, immagini, giochi» allestita da sabato negli spazi di Palazzo Roverella a Rovigo.
«Questa è da sempre una terra di giostrai, anzi di viaggiatori, come preferiscono essere chiamati – racconta Zaghini – Le origini di questa tradizione si collocano nella crisi del ’29, e il merito principale va attribuito a Umberto Bacchiega ed Umberto Favalli, due meccanici di biciclette che per sbarcare il lunario andavano per fiere a vendere dolci fatti a mano dalle mogli. Ed è in una di queste feste paesane che vedono la prima autopista con macchinine dotate di motore elettrico. Il circuito di Monza era stato inaugurato da pochi anni e in quell’epoca c’era il mito della velocità: i bambini, e non solo, facevano la fila per mettersi al volante, pagando il biglietto in contanti. Tornati a casa i due meccanici si mettono al lavoro, copiano l’idea e iniziano a portare la loro attrazione per l’Italia. Era l’inizio di una storia». In un Polesine devastato dalla disoccupazione, le famiglie di Bergantino capiscono che il divertimento itinerante può essere una possibilità di riscatto. Un altro riparatore di biciclette, Albino Brotti, brevetta così la primissima giostra aerea e, di anno in anno, i bergantinesi si specializzano sempre in questo campo. «Tra gli Anni 70 e 80 si tocca il boom del fenomeno, con ben 105 famiglie viaggianti. Praticamente metà popolazione che dalla primavera all’autunno lasciava il paese con le carovane, per rientrare poi in inverno, portando soldi e vivacità, Oggi le famiglie rimaste sono una trentina, ma in compenso si è sviluppata notevolmente la parte industriale e imprenditoriale».
E sono i numeri a confermarlo: nel cosiddetto «Distretto delle Giostra», che coinvolge parte del rodigino attorno ai poli di Bergantino e Melara, sono attive circa 70 aziende, con 500 dipendenti e un fatturato che si aggira attorno ai 250 milioni di euro. Con un elevato tasso di export verso l’Europa e Stati Uniti e piani di espansione verso nuovi mercati come Australia, Golfo Persico e India. Perché che sia la sagra di paese, il piccolo Luna Park cittadino o il mega parco di divertimento, le giostre – da quelle tradizionali a quelle più avveniristiche e spericolate – ancora sanno calamitare la fantasia dei piccoli e riescono a risvegliare il fanciullo dormiente negli adulti. «Dobbiamo ringraziare i turchi, sono stati loro a portare i giochi in piazza» narra Zaghini, che ha dedicato gran parte della sua vita a studiare il divertimento popolare. «L’altalena, quella che vediamo normalmente nei nostri giardini, può essere considerata la madre di tutte le giostre. E in alcune immagini del 1400, in feste organizzate in onore del Sultano, si vedono ingegnosi accrocchi di corde e seggiolini che portavano per gioco le persone fino ai 20 metri d’altezza. Il passo successivo, probabilmente, è stato quello di montare una serie di altalene su una ruota girevole: ecco nascere la giostra a seggiolini, quella che ben conosciamo con il nome di “calcinculo”».
Altra genesi per la ruota panoramica, nata in Russia come rito propiziatorio in vista della semina: più il contadino riusciva ad andare verso il cielo e più il raccolto sarebbe stato abbondante. E sempre dalla Russia giungono le omonime montagne. «A Carnevale era usanza costruire degli scivoli in legno e ricoprirli di ghiaccio – conclude Zaghini – Davanti a tutto il paese le coppie che si erano sposate nell’anno dovevano buttarsi, in una sorta di inno alla fertilità. Alcuni soldati in seguito a Napoleone hanno portato in Francia questo gioco, costruendo però strutture molto più alte e articolate, da cui scendere con dei carrelli. Chiamandole semplicemente “Montagne russe” e dando vita ad una delle giostre più amate e temute: un esercizio collettivo, un urlo all’unisono, che scaccia i peggiori incubi e ci dà l’indescrivibile brivido di superare i nostri umani limiti».