ItaliaOggi, 21 marzo 2019
Il muro cadde 19 anni prima. Cioè nel 1970
Il 7 dicembre del 1970 Willy Brandt cadde in ginocchio nel ghetto di Varsavia, e 19 anni dopo cadde il Muro di Berlino, finì la guerra fredda, le Germanie si riunirono, cambiò l’Europa, arrivò l’euro, e nulla fu più come prima, soprattutto in Italia. Sono già quasi esauriti gli alberghi a novembre per festeggiare i trent’anni dell’evento, ma l’anno fatidico in cui tutto cominciò a cambiare fu quel 1970. Quasi esattamente mezzo secolo fa, nel settembre ’69,Willy Brandt divenne cancelliere, per la prima volta dall’avvento di Hitler il governo veniva guidato da un socialdemocratico. Ma non aveva vinto le elezioni. L’Npd, il partito neonazista giunse a un passo dall’entrare al Bundestag, con il 4,9% (sbarramento al 5%), i voti andarono perduti, ma erano stati sottratti ai cristianodemocratici. Per un paradossale effetto della legge elettorale, Brandt prevalse grazie al successo dell’estrema destra. La Cdu-Csu era comunque il primo partito, ma i liberali cambiarono alleato e si unirono all’Spd. E Willy poté cominciare la sua Ostpolitk, l’apertura ai paesi dell’Est, per superare la guerra.Egon Bahr, suo consigliere e amico, si recò a Washington per incontrare Henry Kissinger, che freddamente gli disse: «Noi non siamo d’accordo». «Non sono venuto a chiedere il permesso, ma a informarla», replicò Bahr. C’è da chiedersi come una Repubblica federale debole, di fatto ancora occupata dalle potenze vincitrici, avesse la forza di condurre una sua politica senza il benestare Usa, e oggi l’Europa rimanga succube di Washington.
Il 12 marzo del 1970, Bahr era a Mosca, nella sua stanza all’Hotel Ukraina scriveva a Brandt: «Abbiamo il via libera del Cremlino». Aveva trovato l’intesa con Gromyko. L’Urss voleva l’apertura con Bonn per rilanciare i rapporti commerciali con l’Occidente.
La distensione iniziò scavalcando l’altra Germania che si opponeva alla normalizzazione che avrebbe messo in pericolo la sua esistenza (come sarebbe avvenuto nell’89). Ulbricht in gennaio aveva invitato i giornalisti occidentali, anche me, a un’imprevista conferenza stampa a Berlino Est: a parole sembrò che il capo della Ddr fosse d’accordo con Mosca, ma in realtà chiuse la porta in faccia a Brandt. «Noi non siamo come Cappuccetto Rosso che cade nelle fauci del lupo», disse Ulbricht, soprannominato «barbetta di ferro», e pose condizioni inaccettabili, come il riconoscimento della Germania Est.
Quell’anno gli avvenimenti si susseguono velocissimi. Gromyko costringe Ulbricht a accettare un incontro con Brandt, ma Berlino Est pretende che avvenga nella Ddr. Dove? Non a Berlino, sarà vicino a Weimar, quasi sul confine tra le due Germanie a Erfurt. Il 19 marzo Brandt giunge in treno accolto dal premier orientale e quasi omonimo Willi Stoph. Fin da prima dell’alba a Erfurt sono cominciati a arrivare tedeschi orientali, la Stasi è presa di sorpresa, non è più possibile fermare la folla che travolge le barriere. «Willy am Fenster», urlano e Brandt infine si affaccia alla finestra. È la prima manifestazione popolare dopo il 17 giugno del ’53 quando a Berlino si scese in strada contro gli occupanti sovietici. L’incontro in hotel è freddo, si chiude con un nulla di fatto. Dopo, Brandt si reca a visitare il Lager di Buchenwald, a otto chilometri da Weimar. Lo ha suggerito un suo consigliere, Günter Guillaume, quattro anni dopo si scoprirà che è una spia di Markus Wolf, il capo del controspionaggio orientale, e Brandt sarà costretto a dimettersi.
In agosto Brandt è a Mosca per firmare il trattato con cui si riconoscono le frontiere della nuova Europa dopo la guerra. Senza un trattato di pace tutto è provvisorio, poteva essere rimesso in discussione. A dicembre, si firma il trattato con la Polonia. Pochi seguono il cancelliere al ghetto, al monumento delle vittime del nazismo. Ero a pochi metri, ho sempre avuto l’impressione che Brandt non avesse calcolato il gesto, una decisione improvvisa. Non piacque alla maggioranza dei tedeschi, il 47% trovò che fosse un gesto esagerato, e che Brandt non doveva compierlo a nome di tutti i tedeschi. Ma quel mattino di nebbia e di gelo a Varsavia, cominciò a cambiare anche l’immagine della Germania, erede del III Reich.