Libero, 21 marzo 2019
Jury Chechi vende le sue medaglie
«Ci tengo molto, sono importantissime per me. Ma lo faccio per una giusta causa». Juri Chechi, il “Signore degli Anelli” come lo chiamano in allenamento, uno dei campioni più indimenticati degli anni ’90, parla con voce calma. Talmente ferma che fatichi quasi a capire quando scherza: e lui, da buon toscano, ha sempre la battuta pronta. Ma non questa volta: davanti c’è l’insegna della palestra Etruria di Prato, la struttura rischia di chiudere: «Non c’è più nemmeno la corrente elettrica, è al buio», spiega. Allora Chechi ha deciso di intervenire, a modo suo. Domenica prossima metterà all’asta i cimeli della sua carriera, sperando di racimolare quanto basta per scongiurare il peggio. «È una piccola cosa, simbolica. Sono le piccole cose a fare la differenza. Mi piace pensare che sia un gesto concreto». Perché quest’iniziativa?
«Perché se non si fa mai nulla non potrà mai cambiare nulla. Non ho intenzione di spostare le montagne, ma posso dare il mio contributo».
Cioè?
«L’Etruria ha bisogno di rifare l’impianto elettrico. Non ci sono nemmeno le lampadine. Non ci si può allenare in quelle condizioni. I ragazzi meritano di più. È mio dovere aiutarli».
Certo. Quanto serve?
«Nell’immediato 3.500 euro. Posso arrivarci».
Quante medaglie vende?
«Circa duecento. Per me sono un pezzo di vita, però lo faccio volentieri».
Le venderà proprio tutte?
«No, no. Non scherziamo. Quelle mondiali e quelle olimpioniche non potrei mai. Non ce la farei. Le altre sì, anche se per certi versi a malincuore».
La base di partenza?
«La cifra base è 19,96 euro. È un numero magico».
In che senso?
«Letto senza virgola fa 1996, l’anno in cui ho vinto le Olimpiadi di Atlanta».
Cosa spera di ottenere?
«L’Etruria non può morire. È una sorta di istituzione, di patrimonio della città di Prato. Fa parte della tradizione e della storia cittadina».
Lei è pratese, si allenava lì?
«Certamente. Per quindici anni quella è stata la mia casa. Poi mi sono spostato a Varese e a Milano, ma l’ultima medaglia olimpica l’ho conquistata allenandomi di nuovo in quei locali».
Qualche ricordo?
«Il divertimento, la gioia dei primi allenamenti e la fatica. Ci si stanca parecchio...». Immagino. Come mai oggi questa situazione?
«Le criticità c’erano da tempo. Prima è saltato il riscaldamento, ora non c’è nemmeno la luce. È brutto vedere quella palestra ridotta così».
E lei ha deciso di rimboccarsi le maniche…
«Andava fatto qualcosa. Forse si poteva fare prima, ma…».
Cosa intende?
«Diciamo che la Federazione italiana di ginnastica poteva trattare la vicenda in maniera più prudente, ecco. Ad ogni modo, l’appuntamento è tra tre giorni al centro Pecci di Prato».
Una vita per lo sport...
«È il mio mondo, mi ha dato tanto e cerco di dare tanto».
Senta, le devo dare una notizia ma non se la prenda con me. Faccio solo l’ambasciatore, va bene? «Sentiamo». Antonio Rossi (canoista olimpico e amico di vecchia data di Chechi, ndr) mi ha chiesto di riferirle che vorrebbe aggiungere anche le sue medaglie all’asta perché, cito testualmente, “Juri ne ha vinte poche”…
«Ringrazi da parte mia quel burlone di Antonio. Ma gli faccia presente che io ho in teca ben cinque campionati del mondo che lui si sogna».
È tutto?
«No, una cosa ancora. Caro Antonio (ride, ndr) le mie medaglie saranno anche numericamente di meno, ma valgono di più delle tue».
Ma voi due vi punzecchiate sempre così?
«È che io sono sempre stato più bello, lui è invidioso».