Corriere della Sera, 20 marzo 2019
Intervista a Michel Platini
Michel Platini è stato tutto. Re in campo, presidente dell’Uefa fuori, c.t. della Francia in mezzo. A 63 anni, dopo una vita da numero uno, è solo (solo?) monsieur Platini. Doveva succedere a Blatter alla guida della Fifa, è finito stritolato da un meccanismo perverso, squalificato per otto anni dal Comitato etico della stessa Fifa con l’accusa di aver ricevuto, proprio da Blatter, un pagamento di 1,8 milioni di euro. Soldi dovuti e denunciati al fisco, ha sempre sostenuto Platini. Il Tas di Losanna ha ridotto la condanna a 4 anni, la magistratura svizzera lo ha assolto, ma giustizia ordinaria e sportiva non dialogano. La squalifica è rimasta: Platini non può ricoprire ruoli nel calcio.
E allora cosa fa oggi monsieur Platini?
«Vivo. Ho sfruttato la decisione di quei maledetti della Fifa per un break totale dopo 45 anni. Me ne frego di una sospensione che è una roba da matti. Ora il caso è alla Corte dei diritti umani, a Strasburgo: non mi possono impedire di lavorare nel calcio».
Tra un anno scadrà la squalifica: che farà?
«La squalifica non mi ha toccato, non l’accetto: non mi sento squalificato. La Svizzera mi ha assolto, la Fifa doveva assolvermi e non l’ha fatto per ragioni politiche. Tutto è stato politico. Non so che farò poi. L’asticella era già alta, andare più su di dove sono arrivato è complicatissimo».
Che Fifa vede oggi?
«Detto sinceramente, oggi me ne frego. Non lo dico con disprezzo. Quando sei tu a decidere ti interessi, ma ciò che penso non conta più. Verrà il tempo di dire le cose. Non ho mai parlato né male né bene di nessuno. Preferisco non parlare: potrei essere indecente».
Lei disse: «Vorrei che il calcio prima che un business fosse un gioco». Si va nella direzione opposta, non crede?
«Ho provato a mantenere il gioco al centro. Se fossi stato io a decidere mi sarei chiesto: portare il Mondiale a 48 squadre, fare un Mondiale per Club e una Champions per i club più grandi, è giusto? Se il calcio è buono il business viene, altrimenti non c’è né l’uno né l’altro. Non si fa calcio per fare soldi».
Un salto indietro: l’avvocato Agnelli. Il più bel ricordo?
«Rido ancora per la scena di quando gli ho offerto il mio primo Pallone d’oro. Era il suo compleanno, aveva invitato mezzo mondo, anche me. Avevo già smesso di giocare, per ringraziarlo gli porto il Pallone d’oro e l’Avvocato mi chiede: “Ma è d’oro?”. “Eh no, se era d’oro davvero non glielo regalavo Avvocato”. Ci siamo fatti una gran risata».
Lei ha chiuso la carriera a soli 32 anni. Oggi a 33 anni Ronaldo dal Real passa alla Juve. Eravate così indietro rispetto ai giocatori di oggi?
«Quattro mesi fa l’ho visto a Torino contro il Manchester United: Ronaldo ha una mentalità e un fisico eccezionali».
Una volta si poteva essere campioni senza essere grandi atleti. Oggi se non sei un atleta non puoi essere un campione: è d’accordo?
«Le partite sono più numerose, ma trent’anni fa il calcio era molto più cattivo e violento. Oggi la tv lo ha reso più pulito. Ronaldo o Messi: non sono mai stati picchiati».
In un calcio violento è riuscito a fare una carriera senza espulsioni: com’è possibile?
«Facile, sono stati espulsi quelli che mi marcavano. Mi volevano pestare tutti».
Un ricordo triste è sicuramente la finale dell’Heysel. Come l’ha vissuta dal campo?
«Sul campo non l’ho vissuta. Ho provato a vincere la partita, nessuno in campo e negli spogliatoi sapeva quello che succedeva e davanti a noi c’era il Liverpool che voleva vincere. Mi sono sempre chiesto cosa avrei fatto da presidente dell’Uefa: giocare fu giusto. Non solo per la gara, ma per salvare tante altre vite».
Come ci ha convissuto?
«Male. Sono tornato a Bruxelles il giorno dopo per far visita ai feriti in ospedale. I giornalisti francesi hanno scritto che avevo ballato sulla pancia dei morti, questo perché ho fatto il gol e ho espresso la mia gioia. Sono stati momenti brutti e così me ne sono andato lontano: era troppo difficile stare a Torino».
Da presidente Uefa ha introdotto il fair play finanziario: non è troppo stringente?
«È stato utilissimo, ha ridotto i debiti dei club da 3 miliardi a 200 milioni: abbiamo salvato tante società. Adesso di quello che dovrebbero fare me ne frego, non ci penso. Da giocatore davanti alla porta non pensavo, la mettevo dentro e facevo gol. Ora non ho più il potere di fare le cose».
Perché è stato allenatore solo per pochi anni?
«È noioso. Stai in panchina e se ti fa tre gol Ronaldo sei il più grande, se invece sbaglia il rigore sei solo il più grande coglione. L’allenatore è importante, non fondamentale. Allegri con la Juve si è preso una bella soddisfazione, però sulla panchina della Spal non può mai battere 3-0 l’Atletico».
Ha giocato in un’epoca di campioni: qual era il rapporto con Maradona?
«Non avevamo un rapporto. Il più forte rimane Pelè, non c’è discussione: ha vinto tre Coppe del Mondo. L’idolo però era Cruyff. La gente con più fame combatte di più».
Con Blatter siete stati amici, avversari, nemici. Cosa c’è oggi?
«Nulla. L’ho sempre aiutato. Lui ha sbagliato totalmente la sua uscita di scena, voleva morire in Fifa. Dopo ha cominciato a dire stupidaggini per poter rimanere lì a vita».
Lei da giocatore ha capito quando era giusto smettere?
«Dopo la finale della Coppa Intercontinentale del 1985 ho giocato un anno da infortunato: non vedevo l’ora di smettere. Poi ho cominciato a stare di nuovo bene, ma avevo preso la mia decisione e ho chiuso. Mi volevano altri club, avrei potuto continuare, ma non volevo dare un dispiacere all’Avvocato. Smettere non è difficile, le cose arrivano, tutto arriva: la tecnologia nel calcio, la mondializzazione, la morte».
La tecnologia è entrata nel calcio con la Var, a lei non è mai piaciuta: perché?
«Sono stato sempre contro. La Var può aiutare, ma poi c’è l’interpretazione: decide sempre l’uomo. I designatori hanno trasformato gli arbitri in campo in pupazzi. È dura perdere una partita per un errore arbitrale, ma è umano. Ora c’è la tecnologia e sbagliano comunque. Non è possibile stabilire se un fallo di mano è volontario o no, sul fuorigioco invece la Var è utile. Lasciate giocare gli umani tra loro. Il calcio è stato inventato per i giocatori, non per gli arbitri che impongono le loro regole: è quello che mi fa arrabbiare. L’arbitro non è l’architetto del calcio, sono i calciatori».
Oltre l’ex campione, l’ex presidente, chi è Platini?
«Un uomo molto fedele ai miei amici. E molto fedele ai miei nemici, lo avrà capito no? Ad esempio con Boniek siamo amici da sempre. La vita dà e toglie. Ho perso un compagno, Scirea: ci ero legato. Ho avuto una vita segnata da grandi gioie e grandi tristezze, come tutti. Per un personaggio pubblico non è diverso dagli altri. Se ti senti una persona normale, le vivi da persona normale. I miei compagni erano persone belle, giuste, come Gaetano. Non era gente che si montava la testa».
La Juve può vincere la Champions?
«Fortissima fisicamente, una macchina da guerra. Con Real, Bayern e Psg fuori le prospettive di vittoria sono interessanti, anche se la Juve in coppa non è mai particolarmente fortunata, chissà...».
Platini infine, ora, cosa attende? Rivincita, giustizia dalla Corte dei diritti umani?
«Combatto sempre, non mi lascio piegare: un giorno la giustizia arriverà. Quando è attesa la sentenza? Per farmi fuori ci hanno messo due secondi. Avere giustizia è dura, dura, dura. Ma arriverà, sono sicuro». Au revoir Le Roi.