La Stampa, 20 marzo 2019
Intervista a Carlo Conti
Per capire quali siano le priorità di Carlo Conti, resettate da un po’ di tempo a questa parte, basta aprire WhatsApp e vedere la foto del suo profilo: un papà, un bambino e una mamma di spalle che guardano il mare, al tramonto. Senza nulla togliere allo Zecchino d’oro, alla serata da Assisi, a Tale e Quale, a La Corrida (in partenza da venerdì e per otto puntate in prima serata su Rai 1), alla conduzione dei David di Donatello (mercoledì prossimo) al suo lavoro autoriale per L’Eredità e per Ora o mai più.
Qui si parla di approccio all’essere se stessi. Come ci si vede rispetto al lavoro, come ci si pensa rispetto alla famiglia. Ritorno a ritmi lenti per apprezzare cose e situazioni. C’è un tempo per spingere e uno per raccogliere. In tanta ridefinizione ha inciso molto la morte di Fabrizio Frizzi, grande amico di Carlo Conti: a giorni, per la precisione il 26 marzo, ricorrerà un anno dalla sua scomparsa, a soli 60 anni. Una mancanza con la quale ha dovuto confrontarsi ogni giorno.
Conti, l’impressione è un po’ quella di chi oggi va più di freno che di acceleratore. È vero?
«Ho rallentato, sì. Quindici anni di diretta quotidiana, tre Festival di Sanremo uno dietro l’altro e sempre in crescita, un record che divido solo con Pippo Baudo. Una vita faticosa. Poi sono accadute delle cose in concatenazione, bellissime e bruttissime, che mi hanno fatto scegliere la vita. La nascita di mio figlio è una priorità assoluta e la morte di Fabrizio mi ha fatto molto riflettere. Ha rafforzato le mie consapevolezze. Volevo rallentare e ho rallentato».
I tre Sanremo lascerebbero il posto a un quarto? Lo sa che si fa anche il suo nome in Rai?
«Esperienza entusiasmante che mi ha reso felice. Se nel tempo ci dovessero essere altre occasioni così allettanti, chissà. Ma non lo vado a cercare. Io sono un tipo che non chiede mai, lascio che tutto avvenga naturalmente».
E ora naturalmente arriva «La Corrida», già grande successo di Corrado e anche suo.
«Con orgoglio l’ho riportato a casa dopo cinquant’anni. Mi piace quella leggerezza, il non prendersi troppo sul serio».
Di talent show ce ne sono tantissimi oramai. Non teme che la sua appaia solo come una furba operazione di nostalgia?
«Qui parliamo di “Dilettanti allo sbaraglio”, proprio perché il talento non c’entra. Arriva gente che non si preoccupa della brutta figura che potrà fare, li spinge la voglia di divertirsi, non per vincere ma per il gusto di esibirsi. Io penso invece che lo show vada contro tendenza, il format è semplicissimo e senza tempo. Gli elementi forti sono due: i dilettanti e l’arena degli spettatori. L’omaggio al grande Corrado fa parte dello show».
La tv di Stato è in mutazione quasi genetica con competenze editoriali in riassetto. Lei come si vede nella nuova Rai?
«Basta capire chi la tua interfaccia. Sono sempre pronto ad adeguarmi all’organizzazione aziendale».
Mai pensato di andare altrove?
«Il mio contratto scade a giugno, ma sento la fiducia del direttore di rete. Ho un modo di lavorare tranquillo, i problemi cerco di risolverli e non di crearli. Capisco che la mia fedeltà è apprezzata. Con questi presupposti non vedo perché cambiare».
A quale dei suoi colleghi si sente più simile?
«Io credo di avere varie anime che tiro fuori all’occorrenza. Ho l’anima baudiana quando faccio il gran cerimoniere; la bongiorniana quando affronto i quiz e l’arboriana quando fungo da spalla per i comici. Una grande scuola in questo è stato Alto gradimento. E oggi mi sento anche un’anima corradiana nella leggerezza della presa in giro garbata che era una sua caratteristica. Mischiare tutto e viene fuori lo spirito contiano».
E Fabrizio Frizzi che cosa le ha lasciato, umanamente e professionalmente?
«Umanamente tutto: l’esempio della sua persona, così delicata, educata, attenta agli altri. Professionalmente tantissimo. Innanzitutto la normalità, il garbo, l’ronia, la correttezza estrema e la bravura, caratteristiche che l’hanno fatto amare dal pubblico in maniera totalizzante».
Le amicizie contano molto per lei. Penso a Pieraccioni e a Panariello. Con loro fa anche un tour teatrale.
«E ci divertiamo moltissimo. Il pubblico lo sente e ci segue. Oramai non sappiamo più quanto è copione e quanto improvvisazione. Alla base c’è un grande affetto e una stima professionale reciproca enorme. Perché senza quella neppure lo scherzo viene bene».