La Stampa, 20 marzo 2019
Troppi antibiotici
I nostri dottori, medici di famiglia e pediatri in testa, continuano a prescrivere gli antibiotici anche quando non servono, creando così terreno fertile per i super batteri resistenti a qualsiasi cura, che in Italia uccidono 10 mila persone l’anno. Un record europeo, secondo gli specialisti destinato a rafforzarsi nel tempo, tanto che nel 2050 le antibiotico-resistenze diventeranno la prima causa di morte nel nostro Paese.
Colpa delle prescrizioni facili, punta l’indice il rapporto sull’uso degli antibiotici redatto dall’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco. Nel 2017 ogni mille abitanti sono state consumate 23,4 dosi giornaliere di antibiotici. Il 90% sono stati acquistati in regime di assistenza convenzionata, ossia in larga parte prescritti da medici di famiglia e pediatri di libera scelta. E che molte di quelle ricette fossero inutili lo raccontano i dati sui consumi stagionali. Se ad agosto se ne assumono 13,2 dosi giornaliere ogni mille abitanti, a gennaio si arriva a 27,29. Un utilizzo correlato, secondo l’Aifa, ai picchi influenzali, nonostante già dal primo anno di medicina si dovrebbe sapere che gli antibiotici nulla possono contro i virus, influenza compresa.
Le differenze tra Nord e Sud
Anche a livello territoriale certe differenze si fa fatica a spiegarle da un punto di vista medico-epidemiologico, visto che si passa dalle 29,5 dosi giornaliere della Campania alle 16 della Liguria, che pure è la regione con il maggior numero di anziani in Italia.
Il picco di consumi si registra tra bambini e anziani, che sono poi le fasce di età nelle quali l’uso indiscriminato di antibatterici può fare più danni. Nel primo anno di età la metà dei piccoli ne ha fatto uso almeno una volta. Idem tra gli over 75. E il problema è che di questa classe di farmaci consumiamo soprattutto quelli a maggior rischio di effetti indesiderati e di poter indurre antibiotico-resistenza.
È il caso dei fluorochinoloni, famiglia di medicinali usati contro infezioni batteriche dall’apparato respiratorio, urinario e gastrointestinale. L’Aifa ne denuncia un uso inopportuno soprattutto tra le donne tra i 20 e i 59 anni per le infezioni delle basse vie urinarie e negli ultrasettantacinquenni, nonostante l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, ne abbia raccomandato l’uso con cautela in questa fascia di età, per i possibili effetti indesiderati. Che vanno dai danni tendinei ai più gravi aneurismi aortici.
Discorso simile per l’antibiotico più amato dagli italiani: l’Augmentin, che è poi un composto di amoxicillina e acido clavulanico. Secondo l’Aifa un’associazione probabilmente sovrautilizzata, «laddove – è scritto nel rapporto- potrebbe essere indicata la sola amoxicillina, che ha uno spettro di azione più selettivo e quindi un minor impatto sulle resistenze».
Tornando ai consumi in generale un piccolo decremento dell’1,6% rispetto al 2016 c’è stato. Ma restiamo sempre nella parte bassa della classifica europea con 23,4 dosi giornaliere ogni mille abitanti, contro la media Ue del 21,7%. E così le antibiotico-resistenze dilagano. Da noi la klebsiella pneumoniae, responsabile di non pochi decessi tra i pazienti ospedalizzati, è resistente in oltre il 55% dei casi, quando la media europea è del 30,3%.
Anche l’escherichia coli, causa di fastidiose infezioni alle vie urinarie, in Italia è resistente alle cefalosporine nel 30,1% dei casi, contro una media Ue del 13,1. E così via, fino ad arrivare al pericoloso acinetobacter, anch’esso diffuso soprattutto in ambiente ospedaliero e indicato dall’Oms come uno dei 10 batteri più pericolosi per l’uomo, che in Italia resiste alle terapie antibiotiche di ultima generazione addirittura nel 78,3% dei casi. Una minaccia per la nostra salute ma anche per l’economia, dato che in Europa le antibiotico-resistenze generano 2,5 milioni giornate di ricovero, che costano 1,5 miliardi di euro. Una bella fetta dei quali spesi proprio in Italia.