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 2019  marzo 20 Mercoledì calendario

Elogio della premier neozelandese



Non ha sbagliato una mossa che sia una. Chiamata a gestire le conseguenze della peggiore strage che Nuova Zelanda ricordi — 50 musulmani uccisi da un suprematista bianco — la 38enne Jacinda Ardern ne sta uscendo da gigante. I suoi detrattori (e la più giovane donna premier al mondo ne ha tanti, fuori e dentro il Labour Party) tacciono. Erano sicuri di vederla scivolare, perché va bene la "Jacindamania" che nel 2017 prese tutti e risollevò un partito in caduta libera, e passi pure la celebrazione che di lei fece la stampa mondiale per la figlia partorita durante l’incarico, ma ora bisogna fare i conti con la storia, e con l’Isis che, attraverso il suo portavoce Abu Hassan al-Muhajir, ha appena minacciato rappresaglia. E, invece, questa donna di Stato che sa essere empatica e dura, compassionevole e ferma, non scivola affatto.
Dunque, Jacinda Ardern. Poche ore dopo l’attentato di Christchurch, si è presentata in città con una delegazione del governo, indossando un velo nero in segno di rispetto. Li ha abbracciati tutti, i familiari delle vittime. Ha pianto con loro. Ha tracciato una linea, quella dell’accoglienza e della solidarietà, e ha fatto capire che da lì la Nuova Zelanda non arretra di un millimetro. «Noi rappresentiamo la diversità, la gentilezza, la compassione. Siamo e rimarremo un rifugio per chi condivide i nostri valori».
Empatica, ma tosta come un chiodo quando si è scagliata contro Facebook, colpevole di non aver tolto con prontezza il video della mattanza girato dall’attentatore, l’australiano Brenton Tarrant. Ha anche preteso la riforma della blanda normativa sulla detenzione di armi, che includerà molto probabilmente la messa al bando dei fucili simil-militari come quelli usati dall’Innominato.
Innominato, sì, perché Jacinda Ardern ha voluto togliere all’attentatore la dignità del nome. «Con il suo atto terroristico cercava molte cose, e tra queste la notorietà», ha spiegato davanti al Parlamento. «Non mi sentirete più pronunciare il suo nome. È un terrorista, un criminale, un estremista». Seduta che ha aperto salutando in arabo: "Salaam aleikum", ovvero la pace sia con voi. Se non fosse chiaro il messaggio.
«Jacinda Ardern ha dei talenti, ma non sa niente di politica estera. E certamente non capisce la Russia», diceva di lei l’ex ministro laburista Michael Bassett. Litri di veleno che si concludevano con una profezia ("Questo governo non reggerà"), auspicio di una vecchia classe dirigente spazzata via dalla fresca "Jacindamania".
Così i giornali chiamarono il vento di fiducia che spirò dopo la nomina, quasi per caso, alla guida dei laburisti. Due sondaggi avevano appena mostrato che il partito era sceso al 24 per cento: l’allora leader Andrew Little rassegnò le dimissioni, nominarono lei. Era in taxi quando glielo comunicarono. Non ne sapeva niente. Non ebbe il tempo di avvertire né i suoi genitori, né suo marito, il presentatore Clarke Gayford, che già stava rilasciando dichiarazioni. «Sono pronta alla sfida». Sul web apparvero immediatamente meme di lei ritratta con la tuta gialla della protagonista di Kill Bill: la chiamavano "the Bride", la sposa, perché quello famoso, in famiglia, era il marito. Fino ad allora.
Pronti, via. «Sono progressista, socialdemocratica, repubblicana e femminista». Spiegò di essere cresciuta a Hamilton, e di essere divenuta agnostica nel 2005 perché la Chiesa dei mormoni, di cui era membra, non ammetteva aperture ai diritti degli omosessuali. In pochi giorni il Labour Party ricevette donazioni per 500.000 dollari. In un mese di campagna elettorale Ardern fece riguadagnare 19 punti al partito: alle urne prese 46 seggi, 14 in più della tornata precedente, contro i 51 del partito nazionalista. Mise in piedi una molto criticata coalizione coi Verdi e coi populisti di New Zealand First e divenne la più giovane donna premier della storia. Quando rimase incinta, poco dopo, le alzarono politicamente una palla d’oro. Le chiesero in tv se avesse pianificato la gravidanza e se la ritenesse opportuna visto il ruolo ricoperto.
Lei schiacciò. «È inaccettabile che una donna debba ancora rispondere a domande come queste, riguardo al posto di lavoro». Si prese la maternità dal 21 giugno al 2 agosto, tornò e portò con sé la figlia di appena tre mesi alle Nazioni Unite. All’assemblea generale parlò di cambiamenti climatici, giovani, eguaglianza. In braccio aveva la sua piccola Neve Te Aroha, nome per metà irlandese e per metà maori.
Significa Chiaro Amore.